IL VIAGGIO DI ELIZABETH
di Luca Marano – Casco bianco in Tanzania
20 Giugno 05
Probabilmente a sedici anni Elizabeth vedeva davanti a se’ una vita migliore.
Il biglietto del bus che l’indomani l’avrebbe condotta a Dar es Salaam bastava a farle credere che in quella casa di mattoni di fango alle porte di Iringa non ci avrebbe rimesso piu’ piede.
Niente piu’ sorelline da accudire ne’ galline e capre con cui condividere la camera da letto.
Niente piu’ chilometri e chilometri a piedi per arrivare in citta’ ne’ serate in cui la mamma ha bevuto tanto pombe da non reggersi in piedi.
Un biglietto del bus, e le parole di quell’uomo che le aveva detto di seguirlo, che avrebbe trovato un lavoro, che nella grande citta’ sull’Oceano Indiano avrebbe cambiato vita.
Di quello che fece Elizabeth durante il tempo trascorso a Dar es Salaam non si sa molto. Forse, come decine di ragazze che ogni anno vi arrivano da citta’ e villaggi di tutto il Paese, passava le sue giornate davanti ai locali notturni di Temeke o Buruguni in attesa di clienti da rimorchiare. Forse trovo’ impiego come house girl, divento’ una delle tante giovani domestiche che, oltre a cucinare e badare ai piccoli, sono costrette ad essere amanti del padrone di casa.
Tutte lasciano famiglie indigenti immaginando il salto di qualita’; molte, moltissime vi ritornano con un bambino in pancia o la morte nelle vene.
Cosi’ Elizabeth, che tempo dopo si ripresento’ in quella casa di mattoni di fango, con gli stessi vestiti con cui era partita e senza regali ne’ caramelle per le sorelline. Gli unici doni li portava aggrappati alla schiena, cosi’ ben avvolti nella kanga da passare quasi inosservati.
Monika e Modesta erano il frutto di un’illusione, di una violenza a pagamento o delle false premure di qualche furbastro.
La vita di Elizabeth non miglioro’. Erano tornate le sorelline da accudire e le capre con cui condividere la camera da letto.
In piu’ ora c’erano due bocche da allattare, sveglie notturne, pianti continui da interrompere, vestiti e sederini da lavare, file al dispensario per medicine e vaccinazioni. Da sola, con la sola vicinanza di una madre ormai segnata da un passato non certo piu’ felice.
In questo modo e’ facile che due creature, due doni, diventino due pesi insopportabili, due esseri piagnucolanti di cui si attende solo la fine.
Ad un anno e mezzo d’eta’ le gemelline Monika e Modesta non pesano piu’ di 5 kg, forse per la negligenza di una madre stanca e depressa che spera solo che quei lamenti cessino per sempre, forse perche’ il piatto di polenta e le poche foglie di verdura non sono sufficienti per tutti.
I corpicini tradiscono tutti i segni della denutrizione; guance e ventri gonfi, capelli che prima si schiariscono e poi scompaiono, pelle che si squama fino a staccarsi, stomaci che si restringono. Masticare ed ingoiare anche un piccolo pezzo di pane diventa uno sforzo indicibile.
Il sabato diventa il giorno in cui l’amore materno di Elizabeth si mostra concreto e sincero. 10 km a piedi, 10 kg sulle spalle, sotto il sole di mezzogiorno o sotto la pioggia tropicale, fino ad un centro nutrizionale fresco d’apertura, solo per una tazza di uji e una banana con cui nutrire le sue figlie.
Fra le persone che vengono a conoscenza della situazione c’e’ chi non ne comprende la gravita’, chi pensa siano sufficienti quell’uji e quella banana, chi non riesce a trovare una soluzione e chi invece crede che l’unica soluzione sia allontanare le due gemelline dal nucleo famigliare per accoglierle in qualche struttura.
Si arrivo’ poi ad un punto in cui l’uji e la banana del sabato pomeriggio diventarono farina, zucchero e fagioli per tutta la settimana; un punto in cui la gravita’ della situazione divenne evidente agli occhi di tutti; un punto in cui si trovo’ una soluzione che potesse salvare le bambine e l’amore della loro mamma.
Ora Monika e Modesta hanno poco piu’ di due anni.
Da due mesi vanno tutte le mattine al centro nutrizionale e la sera ritornano a casa.
Li’ Elizabeth riceve il cibo per nutrirle, le lava, gli somministra le medicine. Ha un programma preciso che le ricorda le ore dei pasti e quelle del riposino. Li’ Elizabeth trova persone con cui scherzare ed esperti a cui chiedere consigli sulla salute delle figlie.
Le due gemelline ora stanno meglio, ma ancora nessuno puo’ dire che siano salve. Vivono in Africa, dove un giorno una persona viene a trovarti a casa e cammina e ride ed il giorno dopo si celebra il suo funerale.
E, quando Modesta muove i suoi primi passi o se sulla faccia di Monika risplende un sorriso da tempo dimenticato, c’e’ chi ringrazia il Signore e chi spreca lodi per chi si e’ interessato alla loro situazione.
Nessuno ammette che Elizabeth, supportata economicamente ed umanamente, sta facendo tutto da sola.
Nessuno si complimenta con quella ragazza che a sedici anni vedeva in un biglietto del bus un futuro migliore.
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