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Testimonianza di Anna

DOVE LE MALEDIZIONI SI TRASFORMANO IN BENEDIZIONI – Ndola (Zambia), Agosto 2010

L’Africa è il rosso di una terra creata dal sole. Ti entra in ogni dove, fra le unghie, i denti, i capelli. Fra i vestiti. Ce l’hai addosso e non sai che è della stessa sostanza di cui sei fatto anche tu. Che hai imparato a separarti dalla natura. E a vivere isolato dalla materia. Pulito, lavato. Smacchiato e sgrassato. Terso e deterso. Perso.

Qui scopri invece che sei corpo fra i corpi, e che appartieni alla terra, alla polvere, all’aria. Persino l’acqua non è acqua, se non mescolata alla terra. Che un posto nel mondo ce l’hai, solo per il fatto che ne sei (una piccola) parte. E mentre ti stupisci di questa fisicità estrema, impari a sentire. A osservare. A condividere. A dare. Anche se non credi. Anche se non pensi. Perché qui tutto è mosso dalla necessità. Dalla contingenza, dall’istante.

Qui ti capita di visitare una scuola dove insegnanti disabili insegnano a bambini disabili, in un’aula di pochi metri quadrati. E una fattoria animata dalle intenzioni e dalle preghiere di uomini con disagi mentali. Il calore della famiglia è tutto fra le mura di una casa che accoglie ragazzi di strada, figli di nessuno, o figli dimenticati. Per farli studiare, cantare, recitare, ballare. Insieme. Per far sentire che no, non tutti li hanno dimenticati.

Le donne vivono forme di “emancipazione” che lasciano sbigottiti. Fanno da sé, qualsiasi cosa. Lavorare, curare i figli, portandoseli addosso come li avessero ancora nella pancia. Fin da bambine, bambine-mamme, con anche due fagotti sulle spalle, uno davanti e uno dietro. Qui gli spiriti danzano senza regole. Se decidono di sollevarsi in un vortice di vento e spazzare in pochi secondi un’intera bancarella di frutta e verdura, rovesciandola per strada, nessuno rimetterà tutto in piedi se non la donna che la teneva. Anche se in tanti sono lì a guardare.

Ci sono reverendi che recitano melodrammatici sermoni lungo gli stretti corridoi di un minibus, benedicendo gli astanti con il proprio sudore. La Parola in mano e gli occhi al cielo.

Il cibo è cotto all’aperto, per le strade ti arriva l’odore delle patate dolci abbrustolite sui fornellini. Delle noccioline, che sono una vera prelibatezza. L’nshima, invece, la polenta bianca fatta con la farina d’avena che si divora con le mani, cuoce in pentoloni neri bruciati dal legno e dal carbone, e si condensa sotto un vapore di sorprendente consistenza.

E poi ancora, di nuovo, eternamente, ci sono i bambini. In Africa i bambini sono tutto. Non esiste Africa senza bambini. Sono ovunque. Ti travolgono come se ti conoscessero da sempre. Come l’Africa, che ti prende come fossi suo da una vita, e non lo sapevi. Ti chiamano da lontano, ti corrono incontro, ti saltano in braccio in massa, si contendono con una commovente ferocia la tua mano, ti fanno giocare come se fossi uno di loro, e invece sei il loro trofeo, la loro conquista. Perché ti conquistano, letteralmente, diventi loro, basta una risata per farti cadere nella rete dei loro giochi, delle loro filastrocche e girotondi, delle piccole astuzie per stare con te il più a lungo possibile. Perché sanno che la felicità va gridata tutta in un momento, va presa e condivisa tutta in quell’attimo che l’hai addosso. Vissuta con la voce e con gli sguardi, con le braccine che ti si aggrappano alle spalle, le guance morbide che ti si appoggiano al viso, gli occhi grandi e bui e che pure non esistono altrove così traboccanti di luce. Perché sanno che non starai con loro più di qualche ora, se va bene un giorno, pochi giorni, tutt’al più un mese.

Più di mille immagini, le voci di quei bambini mi sono rimaste dentro. Credo non si possa stare senza conoscere quelle voci. (e come facevo prima, che non le potevo neanche immaginare!?) Le grida gioiose dei bambini, i canti delle donne, i balli frenetici, i ritmi primordiali della musica suonata con un talento innato. E l’eleganza di certi visi, anche giovanissimi.

Qualcuno ha scritto che in Africa le maledizioni si trasformano in benedizioni. Bisogna andarci per capire che forse è proprio così. Povertà, fame, AIDS. Sono realtà atroci. In cui miracolosamente la condizione umana acquisisce ai nostri occhi un valore inestimabile, che difficilmente riusciamo a individuare con tanto sentimento nella società occidentale. Spero sia la spinta per fare sempre di più. Per annullare le distanze, per superare le paure, per vincere le diffidenze. Per regalare un sorriso, insegnare un gioco (e impararne dieci), aiutare una donna, ascoltare un sermone e recitare una preghiera. Per dare il mio contributo a un progetto. E veder crescere scuole, case, strade dove non ci sono. Ancora.

 

Anna – volontaria a Ndola (Zambia), Agosto 2010

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