Sono arrivato in Zambia il 16 gennaio e ritornato in Italia da pochi giorni (febbraio 2012), passando dai 25-30 gradi di Lusaka al sottozero italiano. Cercare di descrivere cosa è stata la mia esperienza non è semplice, non è facile, trovare le parole giuste per spiegare un’esperienza tanto coinvolgente e profonda a livello emotivo, a livello interiore.
Sono ritornato da diversi giorni, nella mia realtà, fatta di corse, frenesia e appuntamenti, ma sempre più spesso mi ritrovo, con la mente, ad attraversare a piedi, come facevo tutte le mattine, il compound di Kanyama, un quartiere poverissimo di Lusaka, dove le persone trascorrono la loro giornata tra pozzanghere, cumuli di spazzatura e rivoli di acqua putrida, in case fatiscenti dove mancano i servizi essenziali come l’acqua corrente e i bagni, dove le strade sono degli sterrati, polverose da asciutte e una distesa di pozzanghere quando piove.
Kanyama, dove ho conosciuto tre persone straordinarie, Chiara, Francesco e Michela, i cooperanti dell’associazione, che gestiscono in maniera egregia tutti i progetti all’interno dello Shalom Social Centre, un’oasi all’interno del compound, dove circa 400 bambini trovano istruzione ed un pasto tutti i giorni, dove circa 40 bambini disabili, trovano un centro per la riabilitazione, dove si lavora ai progetti del microcredito, delle cooperative, di sensibilizzazione su problematiche sociali e dove, finalmente, da pochi mesi è aperta una struttura sanitaria.
La Shalom Clinic, dove ho avuto il piacere di collaborare con il personale locale, punto di riferimento per migliaia di persone che vivono nel compound, soprattutto bambini, dove ho visto donne sorridenti e felice per la guarigione del proprio figlio e donne tristi, con le lacrime agli occhi per la diagnosi fatta al proprio bambino.
Mi è difficile, a chi mi chiede, far capire fino in fondo la realtà, perché è vero, se non vedi non puoi capire. Bisogna andarci in Africa, per guardare negli occhi grandi dei bambini e trovarci gioia, vivacità e voglia di vivere con il pochissimo che la vita gli offre.
I venti giorni di permanenza a Kanyama sono pochi per capire, probabilmente non basteranno nemmeno diversi mesi, il ritorno alla vita “normale” non è facile dopo un’esperienza tanto coinvolgente a livello emotivo.
E’ un’esperienza che va aldilà di ogni aspettativa e immaginazione e che ti scuote l’anima, nel profondo.
Sarà questa sensazione di disagio che provo quando penso a tutte le mie comodità, rispetto a loro, il mal d’africa?
Antonio Carusone – Lusaka (Zambia) Gennaio 2012
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