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Testimonianza di Anna dallo Zambia

E’ vero, il cielo africano, in questo caso di Kanyama, non è uguale al nostro, è più vicino, più sovrastante e gli orizzonti sono più profondi. Anche i colori sono diversi, la natura, i modi di fare delle persone che ci vivono! Questo è stato il mio primo pensiero in macchina verso il compound, appena scesa dall’aereo. Poi mentre ci addentravamo sempre di più e dal finestrino potevo scorgere rapidamente le strade di terra, i vicoli infangati, le mille bancarelle che lo caratterizzano, il secondo pensiero è stato un senso di angoscia e di dispiacere verso chi viveva in un posto simile. Non avevo ancora capito niente.

Grazie a L’Africa Chiama di Fano ho potuto trascorrere due settimane di volontariato in Zambia, a Lusaka, come già detto nel compound di Kanyama, nel cuore del quale l’associazione ha dato vita al centro “Shalom”. La mattina si partiva presto a piedi, attraversando il labirinto di terra, “case” e fango e le mille persone che vivono lì ci salutavano come fossimo loro amici da sempre, i bambini ci correvano incontro e ci abbracciavano. Arrivando al centro, la sala d’attesa della clinica medica era già piena di gente, in attesa di una visita; le aule della scuola, per i più piccoli e per i più grandi, ospitavano già tantissimi bambini e ragazzi con lo sguardo felice, dovuto al semplice fatto di poter andare a scuola, stare con i propri amici e alla speranza che nasce, sedendosi in quel banco, di poter realizzare i propri sogni. Anche il centro di fisioterapia era nel pieno delle attività con i professionisti che si occupano ogni giorno dei bambini del compound nati disabili, ai quali viene data la possibilità di usufruire di cure riabilitative e di poter andare a scuola per accedere ad un ‘istruzione come tutti gli altri (aspett

o molto raro in Zambia, dove ancora oggi la disabilità non viene accettata, ma piuttosto considerata come una situazione da isolare e da nascondere in casa. L’Africa Chiama sta lavorando anche per superare questo stato delle cose).

In fondo al corridoio si intravede una porta, un gran via e vai di donne, di persone; quello è il fulcro dove tutti, una volta al giorno, passano: è la cucina. Ogni giorno viene preparato un pasto per ogni bambino, insegnante che si trovi nella scuola e ognuno si preoccupa di riportare pulito il proprio piatto perché sa che il giorno dopo riutilizzerà lo stesso.

Di recente, inoltre, sono state avviate due cooperative, un pollaio e una sartoria, dove per lo più lavorano le mamme dei bambini disabili, alle quali si è cercato di dare un lavoro, un ‘opportunità da poter sfruttare per sé stesse, la propria famiglia, la propria autorealizzazione.

Guardare la prima casetta, la prima scuola costruita dall’associazione (attualmente utilizzata per la sartoria) e vedere cosa è diventato oggi il centro mi fa pensare a quanto lavoro, quanta fatica e quanti obiettivi, in cui si è creduto, sono stati vissuti, pensati. Ho anche visto quanto è difficile potare avanti il tutto, nel modo migliore che si vorrebbe e adesso più che mai sono consapevole di quanto sia importante l’operato che l’associazione di Fano svolge dall’Italia per questo paese e che i cooperanti in loco portano avanti.

Non dimenticherò mai, durante una delle visite alle persone che in vario modo lavorano per l’Associazione, la casetta delle due sarte disabili che producono le borse per i mercatini, così piccola ma accogliente, così fatta di niente. Quelle due donne, sedute una di fronte all’altra mi hanno accolta senza un pregiudizio, senza dimostrare niente, con dignità. In quell’angolo di mondo sperduto ho capito che tutti possono essere felici, riscattarsi dove sono e per quello che sono, pur non avendo molto,  pur non avendo quasi mai varcato la porta di casa.

Quel senso di angoscia è scomparso quasi subito, perché viceversa ho visto e conosciuto delle persone felici, contente, speranzose, che ogni giorno vanno avanti nel compound senza domandarsi perché, ma come .

E anche tutte quelle differenze, che immaginavo potessero esserci tra due culture totalmente diverse, se ne sono andate un giorno. Stavo accompagnando, con il driver della scuola, i ragazzini disabili a casa, uno per uno, tra le viuzze di terra e di ingorghi del compound.  Ad un certo punto un bambino scende, io lo guardo e lo saluto mentre si mette a correre contento verso casa, verso una situazione in cui a prima vista si percepisce tutto, tranne che la felicità. Mi sono rivista io da bambina quando tornando, correvo veloce e allegra verso la mia di casa. Ho capito, in quell’esatto momento, che il cuore dell’uomo è uguale in ogni luogo, indipendentemente da tutto, e mi sono sentita felice anche io.

Anna Secchiaroli – Volontaria a Kanyama (Zambia) – Febbraio 2013

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I video dei nostri volontari:  https://www.youtube.com/watch?v=Q42zHnESvPo&index=7&list=PLD90375963AB1ACF8

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