Articolo di Anita volontaria in servizio civile (Zambia)
Da aprile 2018 allo Shalom Centre L’Africa Chiama ospita il progetto Stop the Violence sostenuto dalla Fondazione PRO.SA.
Il progetto, coordinato da Elena, 27 anni di Milano che vive ormai da diverso tempo a Lusaka, nasce dopo anni di lavoro a Kanyama a contatto con i bambini e le famiglie quando, dopo una raccolta di dati su abusi e violenza a Lusaka e nel compound, risulta chiaro che la situazione e’ emergenziale.
Sebbene dal 2011 esista una specifica legge che prevede la protezione di vittime di abuso, i servizi adibiti per la messa in pratica risultano precari.
Lo sportello allo Shalom Centre e’ aperto a tutta la comunita’ di Kanyama e a chiunque abbia bisogno di un supporto.
L’obbiettivo e’ quello di creare un luogo sicuro e di riferimento dove poter chiedere aiuto in caso di abuso, sia esso fisico, sessuale, emotivo o economico. Lo sportello da’ assistenza psicologica alle vittime e le supporta nelle decisioni e nelle azioni possibili da intraprendere: se e’ necessaria una consulenza legale, o se recarsi alla polizia e poi in ospedale per attivare la profilassi per abuso e così via. Una volta presentate tutte le opzioni alla persona che ha subito abusi si decide come procede.
Inoltre, Elena, assieme a Enoch e Patricia, gli altri due operatori del progetto, lavorano costantemente sulla prevenzione. Si recano porta a porta nel quartiere di Kanyama per informare la comunità del progetto e della presenza dello sportello allo Shalom Centre. Altro strumento di prevenzione sono i workshop presso le scuole e le chiese dove Elena, Enoch e Patricia affrontano in modo dinamico argomenti come la parità di genere e i diritti delle donne e dei bambini.
Sebbene la risposta della comunità risulti positiva, ad oggi, infatti, i casi arrivati allo Shalom Centre sono circa 50, rimangono diverse difficoltà.
I casi si dilatano nel tempo: “E’ difficile parlare di casi conclusi ”racconta Elena, “Spesso, anche nel migliore dei casi, le tempistiche sono molto lunghe e ciò comporta il rischio che la vittima o il genitore della vittima rinunci a denunciare.”
In particolare, in un contesto come quello di Kanyama, compound tra i più poveri dello Zambia, non sempre le famiglie o le donne possono permettersi di attendere mesi per ottenere giustizia. Può succedere che la famiglia della vittima deicida di accettare un piccolo compenso da chi ha compiuto l’abuso e di risolvere in questo modo la questione.
Altro punto critico sono i sistemi istituzionali creati per prevenire la violenza e supportare le vittime. Non sempre la polizia e i reparti ospedalieri appositi risultano avere personale sufficientemente formato per affrontare casi delicati. Spesso le diverse strutture non fanno rete creando un sistema di assistenza dispersivo e scoraggiando così le vittime a perseguire nell’ ottenere il riconoscimento del danno subito.
Nonostante le diverse difficoltà incontrate, Elena racconta come, in diversi casi, le vittime o le loro famiglie dimostrino la voglia e la determinazione di ribellarsi all’abuso subito, denunciare e proseguire per ottenere giustizia.
Non resta che augurare a Elena, Enoch e Patricia un buon lavoro.
Anita Romagnoli, volontaria in Africa (servizio civile in Zambia)