Testimonianza di Miriam volontaria in Zambia
Se potessi regalerei le immagini che ho stampate nella mia mente, perché non c’è foto, film, articolo di giornale, immagine né libro che possano mai descrivere quello che hanno visto i miei occhi.
Quando entri in un compound ti senti come un bambino viziato che ha avuto la fortuna di nascere nella parte più fortunata del mondo. Cos’è un compound? È un luogo (che in Italia definiremo quartiere), in cui il concetto di società, inteso nella forma occidentale del termine, svanisce nel nulla attraverso una linea di confine invisibile che, in qualche modo, sembra legittimare ciò che è eticamente e moralmente giusto da ciò che non lo è. Se c’è un Dio, direi che un compound è un luogo di cui Dio sembra proprio essersi dimenticato. Nei compound non c’è legge, non sembrano esserci regole, non c’è igiene né ordine. O meglio ci sono le regole, l’igiene e l’ordine del compound e della sua gente.
Bene, in questo piccolo folle pezzo di mondo, chiamato Kanyama, avvolto da alte mura di mattoni e cemento, a portare speranza, vi è il centro Shalom. Aver potuto vivere, vedere, sentire e soprattutto collaborare con le persone che ne fanno parte e dedicano la loro esistenza per restituire a Kanyama la dignità che spetterebbe a tutte le parti del mondo, è stato per me un immenso privilegio. Shalom è la Speranza e questo è da subito percepibile, perché non appena varchi le sue porte vedi e, soprattutto, senti questa speranza diventare realtà.
I bambini sono liberi di poter essere quello che sono, cioè semplici bambini che hanno il diritto di sentire la spensieratezza dei loro giovani anni. I ragazzi disabili possono svolgere delle attività nel rispetto della loro diversità e delle loro competenze. Le mamme hanno uno spazio dove scoprono di poter essere ascoltate e soprattutto aiutate. Tutte cose per noi scontate, ma che hanno fatto fatica a trovare spazio in contesti come questo. Ricorderò ogni sorriso, ogni abbraccio, ogni stretta di mano che non ho mai dato per scontato. Vorrei riportare quanto da me scritto sul Diario di Bordo che ha accompagnato ogni mio giorno:
“È stata la realizzazione di un sogno, un’avventura che non ha parole per essere descritta. Una conoscenza ed una presa di coscienza, vivendo, seppur per breve tempo, una delle culture più belle ed incomprese di Madre Terra. Ho imparato come si può vivere di essenzialità, quando hai la gioia nel cuore. E di quanto basti un solo libro, se si ha davvero voglia di imparare. Africa, schiava dei vizi dell’Occidente, hai solo tanto da insegnare a noi, figli assorti e malati di un sistema che non ci permette di vedere. Grazie per avermi ridato gli occhi e la speranza di un mondo, dove esistono ancora persone che si toccano senza chiedersi scusa. Mentre Noi, figli malati dell’Occidente, continuiamo a perdere contatto con la nostra vera Natura, semplicemente esistendo, ci confermi che non siamo NIENTE pur avendo tutto, Tu che sei il TUTTO che non ha niente. Perdonaci se puoi”.
Ringrazierò per sempre L’Africa Chiama per la consapevolezza, la concretezza e la solidità di ciò che realizza ogni giorno e per includere nei loro progetti volontari come me che possono vivere, raccontare e ricordare qualcosa che davvero in pochi hanno il privilegio di poter sperimentare.
“Il sorriso di Dany, l’espressività di Algoty, l’orgoglio di Wadanga, le soddisfazioni di Malawo, l’umiltà di Purity…solo sono alcuni dei tanti ricordi che rimarranno per sempre in quello spazio vuoto che ho in petto al posto del Cuore, perché è vero, finisce proprio così, che il tuo Cuore rimane lì…con loro…forse per sempre”.
Miriam Tucci, volontaria in Zambia
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