Non è semplice scrivere certe emozioni, significa renderle concrete, dare loro una forma.
È un sottile senso di vuoto, sento qualcosa che manca.
C’è un po’ troppo silenzio intorno a me.
Ricordo di essere atterrata a Dar es Salaam, la più grande città della Tanzania, terra rossa e case piccole con tetti in lamiera.
Si viaggia stretti, pigiati come sardine. Si ha come l’idea di aver scordato qualcosa, domandarsi costantemente per quale ragione si è dall’altra parte del mondo.
La sensazione che si prova, specialmente quando all’inizio non si conosce neanche una parola di Swahili, è l’impotenza. Non si sa cosa dire o fare per non restare muti di fronte a certi sguardi, che fanno entrare in crisi e crollare ogni certezza.
Da occidentale ero del tutto impreparata a questa tipo di accoglienza. Sono cresciuta in una società dove vige l’egoismo; l’ognuno pensi per sé che Dio pensa per tutti.
Ad Iringa mi hanno accolta Maria e Camilla, civiliste affiancate da Paolo.
Ho soggiornato un mese in una casetta dai muri bordeaux con letti a castello e tende a baldacchino.
Ho avuto l’opportunità di relazionarmi con persone locali, l’occasione di sbirciare il mercato che trabocca di frutta e verdura e conoscere i mezzi di trasporto più comuni: boda bodas e Bajaj.
Sono certa che ognuno di noi, per quanto piccoli siamo, per quanto l’universo possa essere infinito ed indefinito rispetto a noi, abbiamo la possibilità in qualche maniera di essere indispensabili.
Asante Sana.
Nadia Lorenzini, volontaria in Africa, ad Iringa in Tanzania. (Gennaio-Febbraio 2023)
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