Sono inciampata un sacco di volte sulle pietre e la terra polverosa di Kanyama.
Pietre, terra, buchi e spazzatura, la strada da percorrere è tutta così, ma nessuno guarda a terra. Neanche per un secondo.
Di strada se ne fa tanta qui, camminare è lo sport di tutti.
Per fare qualsiasi cosa bisogna camminare molto, i bambini di Kanyama lo sanno bene e quasi sempre lo fanno senza scarpe..
Come se la natura li avesse dotati di un super-potere che gli permette di non sentire nessun dolore né stanchezza. Il vento e la polvere li accompagnano ovunque. Gli occhi iniziano a lacrimare, la gola brucia, le labbra e la pelle si fanno subito secche.
Ogni giorno durante il tragitto a piedi che attraversa il compound da casa allo Shalom Center costruito in 5 anni da L’AFRICA CHIAMA,gli occhi vanno dritti negli occhi dei bimbi che ti corrono incontro e ti salutano, la gola secca trova lo forza ancora una volta di rispondere all’ennesimo “how are you”?
Non smetteresti mai di sfiorare quei piccoli sudici splendidi mostriciattoli che ti vengono incontro. Si avvicinano, sorridenti ma timorosi, ti prendono la mano e camminano con te per un po’. E tu stringi quelle manine appiccicose e impolverate e non vorresti lasciarle mai.
Vorresti aiutarli tutti, portare al loro posto la tanica di acqua che si trascinano con fatica, o il pollo, il cartone di uova o pomodori che devono vendere, oppure il fratellino o sorellina che portano sulla schiena, ma tanto sarebbe inutile, il giorno dopo dovranno farlo nuovamente, e così ti accontenti di guardarli negli occhi e sorridere.
Qui tutto è rallentato, si pensa ad una cosa sola per volta, e ci si prende il giusto tempo per farlo. Persino la goccia al naso va piano, in attesa che il vento e la polvere la facciano seccare.All’inizio per me è stato difficile, la mia mente è abituata a correre e non riesco a rallentare, ma poi la corsa diventa cammino e i pensieri seguono senza fretta ogni momento scandito dall’orologio.
Per i bambini della scuola non c’è un orario, non c’è una sveglia che suona con la loro canzone preferita, non c’è il pane con la nutella e nemmeno i vestiti puliti. Ma non importa. Si svegliano sperando di riuscire a percorrere un pezzo di strada con te, perché incontrarti è un nuovo gioco, come una sorpresa sotto l’albero di Natale. E quando uno di loro ti viene incontro con il braccio proteso verso di te, tu non capisci cosa vuole, ma leggi nei suoi occhi che è felice di averti trovato lì quel giorno per dirti grazie alla sua maniera, con un sorriso, per quel braccialetto che gli hai permesso di fare il giorno prima a scuola. Allora perdi la cognizione del tempo e ti senti finalmente felice. Un’aula trasformata in un attimo nel paese dei balocchi, pastelli, tempere, DAS, palloncini e perline, un mondo nuovo, pieno di colori diversi da quelli di sempre.
Il materiale è molto utile, ma la cosa più importante è stare con loro e condividere questi momenti, anche senza pennarelli e palloncini colorati. Vogliono solo la tua presenza e la tua attenzione, un po’ di affetto, un pezzo di te da tirar fuori quando la strada sembra troppo lunga e difficile da percorrere da soli.
Riguardo il braccialettino di perline viola che mi ha fatto Natasha e intanto cerco di convincermi che il mio viaggio è terminato. Rivivere per qualche attimo l’atmosfera della classe piena di palloncini e perline colorate mi aiuta ad affrontare la strada grigia del mio ritorno a casa.
Non ci sono pietre, né buche, né polvere, ma ogni cosa qui sta cercando di spegnere l’eco di quelle risate e la luce di quegli occhi impolverati.
Ma io penso solo che nessun posto è come Kanyama.
E mi chiedo perché ho aspettato tanto ad andarci.
Sabina, Lusaka (Zambia) – Agosto 2012
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