Sono arrivata a Nairobi di notte, un po’ frastornata direi…salita sul taxi cercavo di guardarmi intorno, volevo provare a capire dov’ero, ma era buio, si sentivano le profonde buche e i dossi e si vedevano solo i fari delle macchine nella direzione opposta che quasi ti venivano addosso. Poi la terra rossa, gli odori forti, i colori avvolgenti, le grida dei bambini che ti chiedono come stai, gli sguardi incuriositi delle donne, tutto ti entra dentro, profondamente.
Non è semplice spiegare a parole cosa ti succede quando vieni travolto da tutto questo, non è semplice spiegarlo soprattutto a te stessa, forse perché una spiegazione logica e razionale non c’è. L’ho cercata, l’ho cercata fino a che ho capito che la cercavo nel posto sbagliato. Cercavo nella testa quello che invece si può sentire solo con il cuore, perché l’amore, la gioia, la voglia di esserci sono emozioni che non puoi razionalizzare, puoi solo viverle.
Di una cosa sono assolutamente sicura: l’impatto più forte lo avuto rientrando in Italia, tornando nel paese in cui sono nata e cresciuta; il difficile è stato, lo è tutt’ora, dovermi riabituare a tutto quello che fino al 20 dicembre era la mia quotidianità. Ora, a più di un mese dal mio ritorno, continuo a fare quello che facevo prima di partire… ma io non sono più quella di prima.
Ho fatto il mio viaggio in Kenya durante il periodo natalizio per questo motivo non ho avuto la possibilità di vedere tutti i progetti nel pieno della loro attività, ma conoscere le persone che gli gestiscono, sentire i racconti delle persone che ne fanno parte, ragazzi disabili, ragazzi di strada, mamme, mi ha fatto capire molto di cos’è un progetto e cosa significa.
Ho capito quanto è importante per i ragazzi di strada avere un punto d’incontro, un punto di riferimento. Loro vanno al centro una volta alla settimana, giocano, si lavano, si cambiano i vestiti, mangiano.. e prima di andare via Munyao, che è il responsabile di questo progetto, gli parla, gli spiega l’importanza di non stare sulla strada, gli fa capire che opportunità sarebbe per loro poter andare a scuola. Ma per andare a scuola devono imparare, banalmente, a stare seduti ed ascoltare, ad avere degli orari, devono imparare ad avere e rispettare delle regole che la strada non gli dà.
Questo vuole fare il progetto, vuole togliere più ragazzi possibili dalla strada, vuole provare a costruire, insieme a loro, un percorso che possa dargli qualche possibilità in più.
Potrei raccontare un sacco di episodi che mi hanno emozionato tanto, ma uno su tutti lo vissuto il giorno di Natale, quando abbiamo organizzato un pranzo con i ragazzi di strada.
Approfittando dell’occasione, gli abbiamo regalato dei semplicissimi cappelli rossi che ci siamo portati dall’Italia. Vedere i loro sorrisi e la gioia nei loro occhi per quel piccolo dono è stato qualcosa di unico. Forse perché non mi aspettavo quella reazione, forse non mi aspettavo di sentirmi dire cento volte grazie. Forse perché non sono abituata a vedere un ragazzino così felice per così poco.
Custodisco gelosamente dentro di me ognuno degli incontri che ho avuto la fortuna di avere in questo breve viaggio. A partire da Gianluca e Federica senza i quali la mia Africa non sarebbe stata com’è stata. Due persone eccezionali, due persone che hanno deciso di dedicarsi agli altri e di farlo mettendosi in gioco completamente. Era un piacere vederli in azione perché ogni situazione che si presentava, ogni problema che c’era da risolvere, veniva affrontato con una forza, un impegno e una passione incredibili.
Poi Munyao e Wanboi, due collaboratori e amici di Gianluca e Federica, i ragazzi di strada, tutti, Teddy, Patrick, Isac, Katama, Padre Cesar… i loro occhi, i loro abbracci, le loro storie, difficili, mi hanno toccato ed emozionato nel profondo.
L’Africa mi ha dato tanto, mi ha insegnato a non dare niente per scontato, mi ha insegnato ad ascoltare con il cuore aperto, mi ha fatto ridere, mi ha fatto piangere.
La cosa più brutta dell’Africa è stata tornare. Credo di non averlo fatto completamente e credo di non volerlo fare. Mi piace affrontare le giornate dedicando un pensiero, molto più di un pensiero in realtà, alle strade affollate e rumorose di Soweto. Mi piace ricordare i bambini che ti chiamano da sopra i tetti per salutarti; le partite a calcio con gli “street boys”; i canti e le urla di Teddy sul matatu. Ci sono un milione di momenti che mi piace ricordare, belli e meno belli, ma tutti colmi di quel qualcosa in più a cui non riesco a dare un nome. Adesso posso solo dire un infinito, anche se riduttivo, GRAZIE a questa terra.
Martina Dini – Volontaria a Soweto (Kenya) – Dicembre 2012
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