Sin da bambina ho sempre sognato di andare in Africa; non per turismo, non per visitare città ricche e dormire in bei villaggi da favola dove tutto sembra perfetto, no! Volevo vivere l’Africa per vedere, capire e assaporare quella terra piena di contraddizioni, perfetta e imperfetta, ricca e tremendamente povera, insomma piena di gioia ma anche di sofferenza.
Più o meno un anno fa ho deciso di riprendere in mano la mia vita, ho spolverato la lunga lista di cose da fare rimaste in sospeso e, poiché sono convinta che nulla accade per caso, proprio in quel periodo sono entrata in contatto con L’Africa Chiama, l’associazione che mi ha dato la possibilità di conoscere Soweto.
La mattina del 21 dicembre, io e i miei compagni d’avventura siamo atterrati a Nairobi. Faceva ancora buio, era difficile orientarsi. Abbiamo preso un taxi diretto in periferia, attraversando strade piene di buche (enormi), camion, biciclette cariche di ogni cosa, pichi pichi (moto taxi) e persone a piedi che sbucavano da ogni parte.Solo in quel momento realizzai il tutto, con il battito del cuore a mille, un nodo stretto in gola e gli occhi pieni di lacrime mi dissi: Ci sei dentro finalmente, sei in Africa!
NELLO SLUM
L’impatto è stato forte, ho avuto bisogno di alcuni giorni per ambientarmi a Soweto, uno slum (baraccopoli) nel quartiere di Kahawa West, alla periferia di Nairobi. A Soweto vivono circa 7-8 mila persone, in prevalenza donne e bambini. Le loro “case” (che a noi bianchi (OCCIDENTALI?) sembrerebbero piccole stanze) sono costruite l’una attaccata all’altra, in lamiera, fango, legno e cartone.
All’interno, la maggior parte ha un letto coperto da una tenda e delle stoviglie a terra per cucinare quel poco che riescono a procurarsi. Non tutte le abitazioni sono dotate di bagno, così lungo le strade ci sono le latrine in comune, un profondo buco scavato a terra, con sopra una tavola di legno con un foro al centro.
Nello slum non esistono fognature e quando piove si può immaginare cosa succede, tutto si mescola e le strade di terra rossa diventano di fango e… altro ancora. L’immagine di Soweto, con tutte quelle lamiere, lascia un segno dentro impossibile da dimenticare, così come il suo odore: un misto di rifiuti, escrementi, puzza di bruciato e chissà che altro ancora; ancora adesso, al solo pensiero, lo sento vivo nelle narici.
Qui L’Africa Chiama ha un centro gestito da due magnifiche persone, Gianluca e Federica, che dal nostro arrivo ci hanno supportato e sopportato, spiegandoci e coinvolgendoci nei diversi progetti che riescono a portare avanti con grande impegno e, a volte, anche con tanta fatica.
Purtroppo nel periodo natalizio molti progetti sono fermi, ma a Soweto il da fare non manca mai. In quei giorni ci siamo dedicati a svariate attività, tra cui le visite a casa delle famiglie che fanno parte dei progetti, in cui ho potuto conoscere alcuni bambini del progetto disabili, tra cui Teddy e Patrick.
Teddy è un bambino di 4 anni cieco dalla nascita che vive con la zia perché sua madre lo ha abbandonato. E’ un bimbo tutto pepe, non fa altro che chiacchierare, cantare e saltellare… troppo figo! Grazie alle donazioni raccolte, a gennaio è stato inserito in una scuola per non vedenti, così potrà essere seguito e istruito in maniera appropriata.
Patrick invece è un “ragazzetto”, più grande di Teddy, con delle deficienze motorie e cerebrali. Non riesce ad esprimersi a parole, ma con gli occhi dice tanto… Sembra assurdo ma, a differenza di tanti altri bambini, lui può considerasri fortunato perchè ha una mamma che lo adora e che si prende cura di lui, tutte le volte se lo carica in spalla e lo porta fino al centro per fare fisioterapia… Mamma Patrick è una gran forza!
Un giorno ho partecipato al progetto “Marengeta” (un quartiere a 40 minuti circa a piedi da Soweto) dove L’Africa Chiama riesce a distribuire settimanalmente cibo a circa 200 famiglie, composte soprattutto da nonni con a carico bambini orfani, che raramente hanno un lavoro o soldi a disposizione.
Abbiamo trascorso qualche giorno con i “backstreet boys” (ragazzi/e di strada) che hanno dai 4 ai 12 anni circa. Sono ragazzi speciali, in un primo momento li vedevo e li trattavo come bambini, poi conoscendoli mi sono resa conto che non è così: sono bambini cresciuti troppo in fretta, la strada non permette loro di essere bimbi, nella strada non esiste età, la strada è come la giungla: vince il più forte!
I backstreet boys vivono e dormono per strada. Qualcuno perché è stanco di vedere la mamma ogni giorno con un uomo diverso, che magari lo picchia pure. Qualcun altro perché a casa non ha nulla da mangiare, così va in strada, dove sa che qualcosa rimedierà, magari raccattando tra le immondizie, facendo l’elemosina o peggio ancora vendendo il proprio corpo, pur di mangiare. E se non troverà niente, magari snifferà colla per non sentire i crampi della fame.
I giorni di Natale e Capodanno li abbiamo trascorsi con loro: sono venuti al centro, abbiamo giocato insieme, hanno fatto la doccia e indossato i vestiti che tramite le donazioni siamo riusciti a portare giù. Poi tutti a tavola, per mangiare fino all’ultima briciola rimasta nel piatto, perché oggi c’è e domani chissà…
L’ESSENZIALE
Sono andata in Africa per svolgere una breve esperienza di volontariato, ma ora scrivendo queste poche parole mi rendo conto ciò che ho ricevuto è molto di più di ciò che ho dato, potrà sembrare retorica, ma è la verità.
Le lamiere, le latrine, il forte odore di Soweto, le persone, i bambini che ho conosciuto o che mi sono corsi incontro solo per un istante chiamandomi muzungu (bianco), insomma questa piccola parte di Africa mi ha fatto ricordare quali sono le cose della vita che contano veramente e che è necessario ridimensionare l’importanza di certi problemi che spesso noi persone “civilizzate” consideriamo enormi.
L’Africa è stata per me un insegnamento di vita, una spinta a guardarmi intorno e ad apprezzare ciò che ho, perché nulla è scontato: né ciò che si prende, né ciò che si dà.
Un grazie infinito e un abbraccio caloroso a tutte le persone che ho incontrato in questo breve ma intenso cammino e a L’Africa Chiama che ha permesso tutto ciò.
P.S. A volte per poter andare avanti c’è bisogno di riassaporare le nostre radici…
Elisabetta Cocilova volontaria a Soweto (Kenya) – Dicembre 2012 e Gennaio 2013
CLICCA QUI, per leggere le altre testimonianze dei volontari!
I video dei nostri volontari: https://www.youtube.com/watch?v=gPzGEbhpo-U