La città che accoglie. Integrazione e legalità sono possibili
Questa è una storia che vuole essere di normale convivenza con i migranti che scappano da guerre, fame e disperazione. Basterebbe voler ascoltare qualche profugo per conoscere la storia di chi ha dovuto lasciare tutto: famiglia, amici, città o villaggio con le sue tradizioni. Dopo la traversata nel mare Mediterraneo (solo nel 2017 circa 3.000 annegati) fra mille peripezie e pericoli inenarrabili, una volta arrivati in Europa, i sopravissuti di questi viaggi della speranza cercano un volto amico che ascolti la loro storia e il loro desiderio della costruzione di una vita normale.
Un’accoglienza sempre più difficile fra pregiudizi, ignoranza e paura del diverso che allarga gli spazi dell’indifferenza e dell’ostilità verso l’altro, soprattutto se è nero. A Moustaphà è andata fortunatamente meglio: 25 anni, sbarcato in Sicilia da Dakar (Senegal) due anni fà. Prima un terribile viaggio di sei mesi in quattro nazioni nel deserto ed altrettanti mesi in Libia, bastonato e sfruttato dai mercanti di morte, e poi a bordo di uno dei tanti barconi carichi di disperati ha messo piede finalmente a Messina. Dopo aver trascorso un anno in varie sistemazioni precarie e provvisorie, ha trovato a Fano una famiglia che l’ha accolto.
Grazie al progetto “un rifugiato a casa mia” della Caritas italiana, la vita di Moustaphà si è incrociata con la famiglia Nannini che, ormai dopo un anno e mezzo, afferma “aprire le porte della propria casa ad un rifugiato e donare parte del proprio tempo per costruire uno spazio di condivisione e di incontro non deve essere considerata una sfida impossibile o un gesto eroico”.
Con la vicinanza concreta delle operatrici della Caritas e di alcuni volontari de L’Africa Chiama, piano piano Moustaphà, assiduo praticante della Moschea, si è inserito in una squadra di calcio amatoriale ed ha trovato amici che l’hanno aiutato nelle frequentazione di gruppi giovanili e di serate in discoteca. Ovvio, sempre attaccato alle sue radici e abitudini africane.
Gli sono state date ovviamente le chiavi di casa e si è reso da subito del tutto autonomo nel cucinare i suoi piatti senegalesi, nei suoi acquisti e nell’organizzazione della giornata. Ripete spesso “questa è la mia famiglia, sono stato accolto come un figlio” e così i nipotini di casa Federico e Riccardo, 3 e 1 anno, sono bel felici quando possono stare nelle sue braccia e giocare con lui… Nel frattempo, grazie alle sue competenze di elettricista, ha trovato un’occupazione par-time presso un’azienda elettrica di Pesaro e poi un lavoro a tempo determinato presso un’azienda agricola fanese.
Laggiù, nella periferia di Dakar, ha lasciato il padre malato, una sorella e cinque nipoti; a loro invia tutti i mesi i suoi piccoli risparmi perché ormai da sei mesi ha trovato un lavoro a tempo indeterminato in edilizia.
La mamma fanese di Mustaphà, felice di questa esperienza, dice “Bisogna mettersi in gioco in prima persona, lontano dai riflettori e senza chiasso se si vuole contribuire a cambiare la mentalità, perché legalità ed inclusione sono possibili in una contesto sociale che accoglie, nel rispetto della legalità”.
E’ sera, quasi buio.
Mentre la tv commenta i tragici fatti di Macerata si sente una porta chiudersi: è Moustaphà che inforcata la bicicletta saluta “mamma, vado a scuola guida per la patente” perche appena potrà, vorrebbe comprare una piccola auto e costruirsi un futuro dignitoso.