Articolo di Matilde, cooperante de L’Africa Chiama in Kenya
Quello che per settimane è stato un incubo lontano, raccontato dalla televisione e dagli amici italiani su WhatsApp, si è materializzato con tutta la sua forza in Kenya venerdì 13 marzo.
In Kenya tutti, anche nelle baraccopoli, conoscevano già il Coronavirus, soprattutto attraverso i telegiornali che sottolineavano la situazione disastrosa in cui versava uno dei Paesi più colpiti, l’Italia. Ogni giorno i membri dello staff e i genitori dei beneficiari venivano a chiederci come andasse dalle nostre parti, come stessero i volontari rientrati in Italia da poco e come riuscissero le persone a vivere con l’ansia costante di un virus così pericoloso diffuso nel proprio Paese.
Una volta confermato il primo caso in Kenya è quindi scattato tra la popolazione un certo stato di allarmismo, dovuto, più che al rischio del contagio, al pensiero di dover affrontare una potenziale pandemia, con tutto quello che essa può comportare, in un Paese che già versa in condizioni difficili. Le fasce più vulnerabili della società già sapevano di correre i rischi maggiori: cosa sarebbe successo in Kenya se fossero state attuate misure rigide come il lockdown in Italia? Come si sarebbero sfamati i bambini se anche in Kenya fossero state chiuse tutte le scuole?
Come c’era da aspettarsi, alcune delle misure sono state attuate subito, a partire dalla chiusura delle scuole. Così, anche lo Centro Shalom di Call Africa si è ritrovato a dover interrompere le attività e a chiudere i cancelli, per il momento. Consapevoli delle problematiche collegate all’interruzione dei progetti, ci siamo dati subito da fare per pensare a come poter sostenere i beneficiari dei nostri cinque progetti nonostante le restrizioni.
Per prima cosa tutto lo staff ha partecipato ad una duegiorni di formazione sul Coronavirus: misure di prevenzione, modalità di trasmissione, sintomi, cosa fare in caso di sintomi manifesti e molto altro. Tutti si sono dimostrati sensibili alle problematiche e soprattutto hanno capito che per il bene dei nostri beneficiari era necessario non restare con le mani in mano, ma agire e presto.
I beneficiari restano tali anche se i progetti non vengono svolti, perciò l’impegno di Call Africa è ora più che mai quello di cercare di rimanere loro vicino con tutti i mezzi possibili. Quello che facciamo tutti i giorni è aiutare bambini, anziani, giovani mamme, ragazzi che già vivono in condizioni di vita difficili se non addirittura estreme, perciò abbiamo deciso di reinventarci e di pensare a soluzioni alternative per continuare a svolgere il lavoro a servizio della comunità al meglio delle nostre possibilità.
È stato quindi deciso di andare avanti utilizzando il sistema dello smart working. All’inizio ci sembrava una grande sfida, ma con i giorni la modalità digitale si è rivelata efficiente. Addirittura chi era senza cellulare si è dato da fare per trovarne uno prestato da amici o parenti e chi non aveva WhatsApp o Messenger ha fatto di tutto per scaricare queste App ed imparare ad usarle.
Allo stesso tempo ci siamo resi conto che era necessario garantire almeno alcune attività in presenza. È per questo che ci siamo attivati per organizzare allo Shalom Centre distribuzioni di cibo, di materiale sanitario di cancelleria e materiale informativo ovviamente evitando qualsiasi occasione di assembramento. Abbiamo poi considerato che ogni diverso target di beneficiari necessitava “attenzioni” e modalità di aiuto diverse.
Progetto Disability
Uno dei gruppi più a rischio per via della chiusura del Centro è sicuramenti quello dei bambini del progetto Disability che ogni settimana frequentano le sessioni di fisioterapia al Centro. Quindi, ci siamo adoperati affinché ogni settimana tutti e 60 i casi vengano monitorati tramite un follow-up telefonico. Se il bisogno principale dei bambini è fare la terapia allora si controlla che le mamme la stiano attuando da casa, seguendo i suggerimenti della fisioterapista. Per i casi più gravi si chiede alle mamme di fare delle videochiamate o di inviare dei video in modo che la dottoressa possa valutare eventuali regressioni e dare consigli utili per migliorare le procedure (nei casi estremi la dottoressa può anche decidere di fare delle home visits). Allo stesso tempo, durante le chiamate vengono ribadite le principali misure di prevenzione, ci si assicura che nessuno in casa abbia sviluppato dei sintomi e si controlla che il bambino segua una dieta bilanciata. Le telefonate sono mirate anche al supporto psicologico dei genitori: al Centro le mamme si confrontano apertamente con altre donne riguardo le loro problematiche quotidiane e ricevono un aiuto pratico dalla fisioterapista Mary, dalla coordinatrice di progetto Mama Baby e dall’operatrice Mama Patrick. A casa da sole rischiano di sentirsi schiacchiate dalle troppe responsabilità senza avere nessuno con cui parlare. Per questo sappiamo che ci dobbiamo concentrare sul counseling telefonico, ascoltarle e dare loro consigli utili.
Asilo Karibuni Watoto
Anche all’asilo gli sforzi delle maestre si sono concentrati, oltre che sull’assistenza materiale, sul counseling telefonico: monitorare la situazione dei bambini va di pari passo con il supportare le tante madri che si trovano in difficoltà non solo nel procurare cibo ai propri figli ma anche nel motivarli a stare in casa. È per questo che alle mamme sono stati distribuiti documenti con informazioni utili su giochi da fare/inventare a casa con semplici materiali da riciclo e ai piccoli sono stati consegnati i loro quaderni di scuola con disegni ed esercizi da svolgere a casa. Le maestre hanno anche registrato per i bambini dei simpatici video nelle classi dell’asilo con pupazzi e giocattoli per sensibilizzare i bambini sull’importanza di usare guanti e mascherine e di lavarsi le mani. Inoltre, le operatrici dell’asilo (maestre e cuoche) si sono attivate per portare avanti campagne di sensibilizzazione non solo nella baraccopoli di Soweto, ma anche nelle zone disagiate circostanti e il feedback è stato molto positivo: tante persone si fermano ad ascoltarle interessati anche perché in molte aree la popolazione non è formata sui rischi legati al Coronavirus e sulla prevenzione, e questo ci incoraggia ad andare avanti.
Centro Marengeta
Gli anziani di Marengeta continuano a ricevere porzioni di farina per preparare la polenta proteica per le loro famiglie e allo stesso tempo vengono raggiunti dalla nostra attività di sensibilizzazione sulla prevenzione perché restano, in Kenya come in Italia, la categoria più vulnerabile. Ogni volta ci ringraziano per tutte le informazioni che diamo loro e cercano di diffonderle a loro volta tra parenti e vicini.
Progetto PMTCT
Con le giovani mamme del PMTCT ci siamo inizialmente trovati in difficoltà nel capire come continuare il progetto. Per non trasmettere il virus HIV ai propri bambini durante gravidanza, parto e allattamento sarebbe necessario solamente che andassero dal dottore a prendere i farmaci e a farsi controllare. In realtà, non è così semplice: è proprio ciò che imparano al gruppo di supporto del martedì che le sprona a continuare con le medicine, è proprio l’affetto e il supporto che ricevono dalle altre mamme, dalla coordinatrice Nyokabi e dall’insegnante Rosemary che le motiva a non arrendersi anche e soprattutto nelle difficoltà. Le soluzioni trovate per il momento stanno dando buonissimi frutti: le telefonate settimanali di Nyokabi danno la possibilità alle donne di sfogarsi, di raccontare i loro problemi e allo stesso tempo di ricevere un counseling prezioso, mentre le lezioni preparate dall’insegnante che vengono consegnate alle mamme durante le distribuzioni di cibo consentono alle beneficiarie di poter studiare gli aspetti salienti collegati all’HIV/AIDS.
Special Children
I ragazzi di strada sono di sicuro il target group più a rischio. Visto che le scuole sono chiuse, tutti coloro che erano stati inseriti in strutture pubbliche o istituti per la riabilitazione (solo alcuni centri hanno deciso di rimanere aperti) sono dovuti tornare a casa e si sono ritrovati a passare quasi tutto il loro tempo in strada perché le mamme a casa non hanno cibo o perché le dinamiche di violenza domestica. Pianificare interventi strategici per gli street children durante una pandemia è molto complicato, ma cerchiamo di fare il possibile grazie a distribuzioni di cibo, ad un counseling con le famiglie più serrato del solito e alla collaborazione con altre ONG italiane e locali che si occupano di ragazzi di strada. Oltre a ciò, cerchiamo di fare sensibilizzazione in strada proprio nelle zone più disagiate dove molti ragazzi continuano ad andare ogni giorno rischiando la salute e la vita oltre che per le “regolari” dinamiche della vita in strada (violenze, uso di droghe ed alcool, rapine etc), anche, e soprattutto, per le difficoltà dovute al Coronavirus (sempre meno cibo disponibile, rischio di essere portati in prigione dalla polizia e, ovviamente rischio di contrarre il virus)
Re-inventarsi e progettare nuove modalità per venire incontro ai bisogni dei nostri beneficiari sono stati gli imperativi dell’azione di Call Africa in queste settimane. Cerchiamo ogni giorno di pensare ad alternative per migliorare gli interventi e renderli più mirati, confrontandoci con altre ONG e centri che si trovano in situazioni simili alla nostra e prendendo esempio da quello che è stato fatto in altri casi di epidemie nei contesti delle baraccopoli. Le difficoltà restano molte e la situazione rischia di farsi sempre più complicata.
Ma, ricordando le lezioni del nostro caro Italo, che continuano a motivarci ogni singolo giorno: Non ci si ferma, si avanti!
Matilde Giunti, cooperante del L’Africa Chiama in Kenya
Guarda la video-puntata di “L’Africa Chiama On Air” con gli aggiornamenti di Matilde e Angelo dal Kenya (clicca qui)
Ecco ciò di cui abbiamo più urgentemente bisogno:
EMERGENZA COVID-19: AGGIORNAMENTI DA LUSAKA
Giovedì 30 aprile alle 18:30 diretta streaming con il Kenya
EMERGENZA COVID-19: AGGIORNAMENTI DA NAIROBI
Emergenza Covid–19. Noi ci siamo.