Articolo di Angelo e Matilde, cooperanti de L’Africa Chiama in Kenya
L’arrivo del Coronavirus in Kenya e le conseguenti misure prese dal Governo per contenerne la diffusione hanno comportato degli “effetti collaterali” sulla popolazione, soprattutto sulle fasce più vulnerabili e nelle aree più disagiate, come Soweto dove L’Africa Chiama ha il suo Centro Shalom. Se gli effetti diretti quali l’effettiva diffusione del virus e le conseguenze sul sistema sanitario nazionale non sono ancora chiarissimi, per chi lavora come noi nel sociale è impossibile non rimanere profondamente colpiti dai più palpabili effetti indiretti, tra cui le aumentate difficoltà finanziarie delle famiglie dovute alla chiusura di molti business.
Aggirandoci per le stradine della baraccopoli negli ultimi giorni abbiamo potuto constatare con i nostri occhi i cambiamenti più evidenti: primo fra tutti, l’aumento esponenziale del numero di persone che vagano sotto l’effetto dell’alcool. Non è un segreto che Soweto sia uno dei più importanti centri di produzione e di vendita del chang’aa, la celebre bevanda alcolica ottenuta dalla fermentazione dello zucchero di canna con l’aggiunta di altre sostanze, tra cui il combustibile per aerei ed altri prodotti chimici particolarmente pericolosi per la salute (talvolta l’acqua che viene aggiunta alla bevanda proviene in realtà dalle acque di scolo). Dopo diversi sgombri forzati da parte della polizia e le chiusura di altri centri di smercio della stessa bevanda alcolica, un gran numero di “aficionados” del chang’aa si è riversato su Soweto.
Un altro degli effetti indiretti delle misure prese dal Governo per contrastare il Covid-19 è costituito dai danni che rappresenta la presenza quotidiana di bambini e adolescenti in giro per le strade a causa della chiusura delle scuole: i minori, soprattutto di sesso femminile, non possono più trovare nella scuola un rifugio più sicuro della strada e restano i più esposti ad eventuali violenze. Questa è purtroppo la condizione in cui si trovano tantissime ragazze e bambine nei Paesi in Via di Sviluppo, negli insediamenti informali come in altri contesti urbani e non. L’ONU denuncia che l’emergenza da Coronavirus potrebbe portare ad un aumento di gravidanze indesiderate fino a qualche milione (il sito GlobalCitizen.org che tratta di tematiche umanitarie, diritti umani ed impegno civile riporta che in Somalia addirittura le ragazze siano adesso ancora più a rischio di mutilazioni genitali e di matrimoni precoci, anche in questo caso per gli effetti indiretti delle misure anti-Covid-19).
Un altro rischio che unisce entrambi i problemi sopra citati è la diffusione dell’alcool proprio tra la fascia di popolazione più giovane: in più occasioni ci siamo imbattutti in ragazze adolescenti ubriache già nel pomeriggio, situazione in cui prima del Coronavirus era difficile imbattersi. Davanti ad una di loro che ha cercato di approcciarci per chiederci dei soldi, un passante con sguardo rassegnato ha sospirato: “Ed era una ragazza che stava per finire Form 4” (l’ultimo anno delle superiori).
I timori degli abitanti di Soweto per ciò che potrebbe accadere e per quello che in parte già si sta verificando vanno oltre l’emergenza sanitaria e si concentrano sulle conseguenze di lungo periodo. Le drammatiche dinamiche sociali già motivo della nostra presenza qui, se non verranno adeguatamente affrontate, potrebbero avere esiti molto gravi. La popolazione di Soweto ci ha ancor di più reso consapevoli del fatto che ci troveremo davanti a nuove e ancor più ardue sfide.
In questa situazione tragica, non ci vogliamo però scoraggiare: nelle ultime settimane siamo anche stati testimoni oculari di alcuni cambiamenti in positivo che ci hanno piacevolmente impressionato e che ci hanno ridonato speranza.
Tra i più eclatanti (e che speriamo possano diventare cambiamenti non temporanei ma permanenti) ci sono quelli riguardanti alcuni beneficiari del progetto “Special Children” che si occupa del recupero di ragazzi di strada, della loro riabilitazione e del loro reinserimento in famiglia, a scuola e nella comunità. Rahab, una mamma che ha due figli beneficiari del programma ha colto l’occasione della crisi economica, per via della quale non riusciva più a trovare lavoro come donna delle pulizie, per provare a lanciare una piccola attività generatrice di reddito a Soweto: dopo anni di tentativi mai andati a buon fine, grazie a forza di volontà e tenacia, Rahab sta portando avanti l’attività di vendita di chapati (delle piadine locali), fagioli e riso. Catherine, una mamma che ha iniziato a beneficiare delle distribuzioni di cibo e materiale igienico che facciamo regolarmente ogni due settimane dall’inizio della crisi, è rimasta commossa dagli sforzi di Call Africa per aiutare i bambini e le famiglie in difficoltà ed ha chiesto a Ritah, la coordinatrice del progetto, di poter venire a fare attività di volontariato per provare a restituire una parte di quello che ha ricevuto. Questa richiesta ci ha particolarmente emozionati, soprattutto in una situazione difficile come quella attuale in cui sappiamo che tutti sono messi a dura prova.
Un ultimo esempio di “trasformazione” riguarda Joshua, 17enne, beneficiario de L’Africa Chiama da 8 anni che non è mai riuscito a terminare il percorso scolastico né ad abbandonare definitivamente la strada e le droghe. In questi due mesi e mezzo in cui il Centro è stato chiuso e non è stato possibile monitorare tutti i beneficiari dei progetti, abbiamo temuto il peggio. Per qualcuno di noi era quasi una certezza che la condizione del giovane potesse essere peggiorata. Invece, con piacevole sorpresa, abbiamo scoperto che è pulito (sia dalle droghe che nella igiene personale, cosa non facile per i ragazzi di strada), che dorme a casa con la mamma e i fratelli, che cerca di darsi da fare con le faccende domestiche e di essere di aiuto per la famiglia. In più anche lui cerca, quando può, di venire al Centro per svolgere un po’ di volontariato. Gesti del genere da parte sua valgono più di mille parole.
L’unica cosa perciò che possiamo aggiungere è che stiamo cercando di tenere sempre alto lo spirito e il morale e di incoraggiarci a vicenda.
Un approccio positivo in questa fase di emergenza riteniamo che sia uno stimolo per tutti noi – staff, beneficiari e voi donatori – per mantenere viva la speranza nell’attesa che l’emergenza passi e che si possa tornare alla vita di prima. Se vuoi continuare ad aiutare Rahab, Catherine e Joshua nei loro percorsi di trasformazione abbiamo bisogno di tutti voi!
Angelo Carlo Valsesia e Matilde Giunti cooperanti de L’Africa Chiama in Kenya
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