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“NO TO RACISM”

Articolo di Martina, volontaria in Servizio Civile Universale in Italia

Qualche giorno fa, oltre ai messaggi sul telefono, cattura la mia attenzione anche la notifica di una notizia che recitava esattamente queste parole: “Ennesimo caso di razzismo durante una partita di calcio”.

La notizia non mi lascia indifferente, così inizio ad approfondire per verificare che le fonti fossero attendibili. Ma, prima ancora di fare la mia ricerca, continuo a ripensare al titolo della notizia. La scelta della parola “ennesimo” mi turba. Un altro caso fra tanti, come se ci fossimo abituati ad episodi come questo. Come se determinati comportamenti fossero stati normalizzati. Cercherò in breve di raccontarvi l’accaduto: nei primi minuti della partita di Champions disputata dal Psg contro l’Istanbul Basaksehir, una frase del quarto uomo Sebastian Coltescu, per richiamare l’attenzione dell’arbitro in merito all’espulsione di Pierre Webo, assistente del tecnico dei turchi, è finita nell’occhio del ciclone.

Il collaboratore del direttore di gara ha apostrofato Webo con l’epiteto “negru” (lo dice in romeno). La panchina degli ospiti sente tutto e si altera, scatenando così una reazione a catena. Prima la formazione turca, e poi quella francese decidono di abbandonare il campo e viene così sospesa la partita.

Ora, lungi da me giudicare la natura del gesto. Non voglio addentrarmi nella futile diatriba fra chi dice che il gesto sia da condannare e chi invece lo ritiene privo di malizia. Quello di cui sono certa è che mi è servito come spunto per una riflessione ben più complessa. Riportando la notizia, quasi tutte le testate giornalistiche si interrogavano se la condanna del gesto potesse essere considerata un atto di mero “buonismo”, affermando come al giorno d’oggi si senta fin troppo parlare di episodi del genere. A mio parere, gli episodi di razzismo erano frequenti anche prima ma erano meno rivendicati. Se un caso come questo fosse avvenuto durante una partita di 15 anni fa non avrebbe fatto nessuno scalpore, “l’uomo nero” si sarebbe tenuto il suo “insulto” e la partita sarebbe continuata. 

Da qualche anno invece si è iniziato a condannare anche comportamenti di questo tipo e secondo me molte persone non sono riuscite a stare al passo con questo cambiamento. Se 5 anni fa utilizzare la parola “ne*ro” andava bene, perché ora non si può? È questa la domanda che gran parte delle persone si pone dando la colpa al politically correct che ha censurato la libera espressione. Non si tratta dunque di “buonismo”, del fatto che tutti siamo diventati “più buoni”, si tratta del fatto che (per fortuna) siamo diventati semplicemente “meno ignoranti”. Oltre a questo, si aggiunge anche il fatto che coloro che erano abituati a subire hanno deciso che è arrivato il momento di smettere. Io, in primis, mi sono resa conto che anni fa reagivo in maniera molto diversa di fronte a situazioni di questo tipo che mi capitavano.

Se prima mi chiudevo e mi sentivo quasi in torto, come se fosse colpa mia l’atteggiamento scorretto di altre persone, ora sono la prima a parlarne e rivendicarle. Per questo motivo credo che sia futile parlare di “buonismo” e associo a questa parola una connotazione positiva e non negativa come viene comunemente fatto. Credo che essere più attenti ed empatici nei confronti dell’altro non può e non deve essere considerata una cosa negativa. Lo stadio che ospita le gare del Paris Saint Germain esporrà al suo interno degli striscioni che recitano “No to racism” accompagnati da altri striscioni fatti dagli stessi tifosi che si sono dimostrati solidali nei confronti della loro squadra ed orgogliosi della reazione che ha avuto rispetto all’accaduto.

E voi cosa ne pensate? Siamo diventati “più buoni” o “meno ignoranti”? 

Martina Kansengo, volontaria in servizio civile universale in Italia

 Martina Kansengo, volontaria in servizio civile Italia

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