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O forse il mio cuore è rimasto li con loro…

TESTIMONIANZA DI LUCA VOLONTARIO A LUSAKA (ZAMBIA)

Mi sembra ieri quando ero sulla Jeep scassata di Simona, mentre ci si dirigeva alla scuola per disabili di Mulela.

Questa scuola si trova al centro della baraccopoli della periferia di Lusaka, capitale dello Zambia, uno dei paesi più poveri al mondo.

Con la Jeep mezza distrutta a causa dei buchi e sassi delle strade sterrate, lasciamo la Mumba Road, la strada principale che porta alla città, per addentrarci nella baraccopoli, dove le case di terra e fango la fanno da padrone.

Bastano pochi metri per entrare in un altro mondo,il paesaggio è agghiacciante e gli sguardi delle persone pure. Su i finestrini e chiuse le serrature, il primo loro pensiero quando ci vedono è:” cosa fanno qui dei “MUSUNGO” (così chiamano l’uomo bianco), dobbiamo trovare il modo di fregargli dei soldi o qualcosa d’altro…”

Via veloci per quanto possibile, non si va più di 20 km/h, passiamo a fianco di una zona fatta di voragini in un terreno roccioso sul cui fondo c’è dell’acqua stagnante, sembra quasi un paesaggio lunare. All’interno di queste buchi profondi si trovano molti bambini che giocano, mentre le madri lungo il ciglio della strada sono sedute per terra a spaccare i sassi con le mani, questo è considerato già un buon lavoro, per cui anche i bambini stessi sono spesso coinvolti. Dopo la fila degli spacca-sassi, c’è una striscia di putrida spazzatura che prosegue per un centinaio di metri, all’interno della quale ci sono dei bambini all’affannosa ricerca di qualche brandello di vestito o di qualcosa da ciucciare.

Proseguiamo con il cuore in gola ed entriamo tra i cunicoli, le case si fanno sempre più vicine, il rigagnolo di scolo che scorre a fianco delle case sembra guidarci lungo la strada finchè, nel timore di tutta quella gente minacciosa attorno, arriviamo alla scuola.

Antonella scende di corsa per aprire il cancello ed entriamo con l’auto, chiudendo fuori tutte le nostre paure.

Ora un po’ più tranquilli si scende dall’auto e con un fare misto tra il curioso e il timoroso, ci avviciniamo ad un primo folto gruppo di disabili.

Lo Zambia ha una percentuale altissima di disabili, sia mentali sia fisici, vista l’elevato numero di sieropositivi nella sua popolazione, l’aspettativa di vita è circa 35 anni. Io quindi,sono già fortunato….

Subito ci vengono incontro le insegnanti della scuola, anch’esse disabili, una con delle stampelle arrugginite e l’altra su una sedia a rotelle, creata da una sedia di plastica, di quelle che usiamo nei nostri giardini.

Saluti, abbracci e presentazioni, dopodiché ci fanno visitare le classi. Non ho mai visto niente di simile, una stanza di mattoni di cemento, 10 metri di lunghezza per 3 di larghezza, dove le 3 classi sono divise dalla lavagna, mentre i 25 bambini stanno seduti su cuscini o materassini di gommapiuma, il tutto sotto una flebile luce proveniente da due piccole finestrelle nella parte alta della struttura…il livello di sporco lo tralascio, è un concetto che per loro è molto vicino a quello di pulizia.

I miei compagni d’avventura si fermano dentro a seguire la fisioterapista zambiana, pagata dall’associazione, che fa fare degli esercizi bambino per bambino per stimolarli il più possibile e per trasmettere alle insegnanti qualche rudimento di ginnastica. Io scappo fuori, non riesco a star li a guardare i bambini che soffrono e piangono per il dolore di certi movimenti, infatti per le difficoltà di accesso alla scuola fanno la fisioterapia solo una volta alla settimana. Così mi metto a giocare con i bambini all’aperto, che mi hanno insegnato a fare i tappeti colorati. Infatti passano gran parte della giornata a infilare strisce di stoffa colorata in un sacco di juta, aiutandosi con delle biro, dopo molti giorni il sacco è tutto pieno di strisce che sembra un tappeto di mille colori. Poi ad alcuni ho preso le braccia ed ho fatto finta che fosse un manubrio della moto, con altri abbiamo giocato a biglie con i sassi, altri,quelli che possono, hanno ballato e cantato, ed una bambina dolcissima mi ha fatto un braccialetto di stoffa, non la dimenticherò mai.

Tutto questo è il loro mondo, ma attorno a quel tappeto gira tutto il loro vivere, parlare, discutere, cantare, ballare, giocare e ridere. Ridono sempre i bambini africani, quelli con grossi deficit mentali fino ai bambini senza gambe, basta fagli una linguaccia per farli ridere per ore ….sono meravigliosi.

Dopo un pomeriggio così stupendo malinconicamente siamo ripartiti per tornare al centro, dove ci aspettano i bambini della scuola di Kanyama, che è il progetto che viene seguito più da vicino.

Ma la scuola di Mulela con i suoi bimbi rimarrà nel mio cuore e nella mia mente per sempre, o forse, il mio cuore è rimasto là con loro…

Luca Benevento – volontario a Kanyama in Agosto 2008

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