Baba Yetu
Qualcuno l’ha definito un porto di mare, qualcun’altro un dispensario di speranze. Senza dubbio e’ un punto di riferimento per le persone di Soweto che non mancano mai di essere presenti, di chiedere, a volte anche di pretendere. D’altronde l’hanno visto crescere al loro interno, l’hanno accompagnato nel modificarsi ed evolversi. Con il passare degli anni ha preso sempre piu’ forma ed ora muove i suoi passi da solo. “Baba Yetu” che in lingua Swahili significa “Padre Nostro” e’ il nome della casa-missione nella quale vivo insieme ad altri volontari che hanno scelto di trascorrere per un’esperienza piu’ o meno lunga. Le mura di fango e legno sostituiscono dove manca la lamiera arrugginita. Ma questo scheletro fragile racchiude al suo interno un tesoro ben piu’ prezioso…le storie di molte persone. Infatti prima ancora che il sole sorga, Soweto e’ gia sveglia. E prima che la maggior parte di noi si alzi dal letto c’e’ gia’ la fila di donne fuori dalla porta in attesa di un lavoro. Lavorare in “Baba Yetu” significa ricevere un salario buono, non avere dei ritmi stressanti, ma soprattutto fare qualcosa per gli amici della missione. Cosi’ c’e’ sempre questa calca di persone che sperano di essere scelte da Macharia, un signore che ci aiuta. A rotazione, cosi’, si cerca di dare un po’ di lavoro a tutti senza preferire uno o l’altro. E dal momento in cui vengono scelte alcune di loro comincia il via-vai che terminera’ la sera. Da una parte e’ un dono poter incontrare cosi tante persone, dall’altra ti accorgi che il peso che portano, delle volte e’ grande e ti scende un po’ di tristezza.
In Baba Yetu la mattina e’ in prevalenza il turno dei malati. Mamme giovani e premurose, portando i loro piccoli sulla schiena, chiedono di poter essere viste da un dottore o di poter andare in qualche ospedale per un controllo. Questi pargoletti moccolosi a volte si spaventano alla vista di un bianco e piangendo danno voce alla casa. Le madri cercano di calmarli con piu o meno successo, mentre noi scegliamo le medicine o il provedimento per come aiutarle nel modo piu adeguato. E nel frattempo entra dalla porta, sempre aperta, il vecchietto dal nome impronunciabile che ti vende le banane. Ti viene in mente che ne hai gia’ a sufficienza e ti dispiace dirgli di no. Cosi’, magari, opti per comprargliene la meta’ anziche tutte e non sai come farglielo capire perche’ non conosce una parola di inglese. Sai che per lui un “no”, significherebbe quasi un offesa piu che un rifiuto e allora con un sorriso gli si spiega come stanno le cose. E nel frattempo, come un vero porto di mare, la signora del pesce (Mama Samaki) ti porta 3 kg di questo come da accordi e dietro di lei si intruffola il solito ubriacone di turno, creando un po’ di proteste e scompiglio tra le persone presenti. Cosi’ finche’ prendi il pesce e lo porti in cucina ti si mette davanti Bernard, il bimbo di una cuoca che tendendoti la mano ti mostra un tappo di bottiglia. In quel momento diventa lui la persona piu’ importante della casa e non puoi rifiutarli una carezza. Metti una mano in tasca e tiri fuori una caramella che diventa subito molto piu’ importante del tappo trovato in qualche angolo oscuro della cucina. La mamma del bimbo moccoloso reclama anche lei una “sweet” per il suo pargoletto, che sara’ pur malato ma la forza per ciucciare una caramella e’ sempre presente. Ti giri e scopri che l’ubriaco si e’ comodamente seduto sul divano e con aria soddisfatta si guarda intorno cercando invano di attaccare bottone con qualcuno a caso. Ad uno dopo l’altro si cerca di dare una risposta al bisogno per il quale e’ venuto. Tra i vari incontri ce n’e’ uno che mi smuove il cuore ogni volta. Ed e’ quello con la piccola Waithera, che con i suoi occhioni grandi e un sorriso gigante, dove le mancano i 4 denti incisivi mi chiede “Gianpi, give me baloon”. E a lei so che non posso dirle di no, perche’ mi ci sono affezionato tanto, e anche perche’ ora ha imparato a chiedermi anche “please”.
E cosi’ tra tanti incontri si strappano tanti sorrisi e qualche lacrima da coloro che passano a bussare alla porta di “Baba Yetu”. Provare a mettersi a servizio non significa perderci, ma in questo caso si vince sempre. Si vince uno sguardo, un sorriso, che valgono molto di piu’ di una lotteria. E nella lotteria di Baba Yetu i premi sono le emozioni che ogni giorno ti riempiono il cuore di gioia attraverso coloro che bussano a quella porta.
GiamPaolo
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