AFRICA… Perché partire? Lettera aperta ai futuri volontari
Perché partire? E perché io sono partita? Da Sassari passando per Milano, poi Atene, Johannesburg e finalmente Ndola. 30 ore di aereo, 5 aeroporti, 3 imbarchi di bagaglio, tutto da sola. Con il mio fidato diario, scrivendo le prime impressioni su un viaggio che mi sembrava una follia, all’inizio.
Ma che alla fine è stata una delle cose più belle che abbia mai fatto in tutta la mia vita. L’esperienza africana vi resterà nel cuore, vi segnerà per sempre e non potrete più girare la faccia o fare finta di niente davanti al viso di un bambino dalla pelle nera. Quando sarete lì vi rincorreranno festanti gridando “M’sungu, M’sungu!” che vuol dire uomo bianco che gira intorno. Quell’uomo bianco che li ha devastati con una politica di sfruttamento delle risorse a beneficio di pochi eletti, che siamo noi. Colpevoli fino al midollo delle ingiustizie inflitte, colpevoli di non fare ancora abbastanza, colpevoli di girare lo sguardo all’extracomunitario che incontriamo per strada. Colpevoli di un razzismo strisciante e mal celato, infastiditi dalla presenza del diverso, di chi ha la pelle nera, di chi pensiamo che non sia all’altezza della nostra civiltà.
E che civiltà ragazzi! Fatta di Grande Fratello e X Factor, di cellulari e di jeans firmati, di scarpe con il tacco e trucco perfetto. In Africa scordateveli i tacchi e tutto il resto. Lì è polvere, fame, povertà, malattia, analfabetismo. Lì è niente. Vi assalirà un senso di impotenza che, per cercare di placare, vi indurrà ad una frenetica ricerca del “fare”. Cosa posso fare, cosa devo fare? Cari tutti, non dovete fare un bel niente! Perché non potete fare niente. Non potete curarli, sfamarli o educarli. Ma potete fare una cosa molto semplice. Li potete ascoltare. Quando andate da loro, che sia un villaggio sperduto come Iringa, la tristissima baraccopoli di Soweto a Nairobi, o le altrettanto tristi baraccopoli di Lusaka o Ndola, non fate niente, solo sedetevi. Sedetevi e ascoltateli, le loro storie e i loro sogni, le loro sfide e le loro lotte. Non vogliono niente, solo ascolto. Vi sono già immensamente grati perché siete venuti da molto lontano a trovarli, per vedere come vivono e come stanno. Ascoltate i loro racconti di violenza domestica, di privazioni, di educazione negata, di sacrificio. Le storie delle mamme che non hanno da mangiare per i figli, dei padri che non hanno lavoro per comprare il cibo, dei ragazzi e dei bambini che non hanno un futuro perché non studiano, ma conservano gelosamente la figurina di Francesco Totti, anche se non sanno come si chiama, nè in che squadra gioca. Io ho girato parecchio e ne ho visto di posti. Centri nutrizionali, centri per il microcredito, centri di recupero per ragazzi e bambini di strada, centri per le prostitute, ambulatori medici, orfanotrofi. In ogni posto non ho fatto un gran chè.
Qualche volta ho distribuito il cibo, spesso ho lavato piatti e altre piccole attività insignificanti. Ma la cosa che ho fatto più spesso è stato dire “Mulishani” (che vuol dire “Come stai?”), è stato sorridere, accarezzare, abbracciare, giocare, stringere mani e soprattutto ascoltare. Sentire i loro racconti. Tutto questo forse vi rattristerà e vi farà sentire in colpa per quello che voi avete e che loro non hanno. Ma nel nostro piccolo, prima di partire, durante la permanenza e dopo che torniamo, possiamo fare moltissimo. Raccolta fondi in mille modi (Raffaella vi darà tante idee) e soprattutto sensibilizzare chi vi sta intorno: parenti, amici e colleghi. Parlate loro di quello che avete visto e sentito, della vostra esperienza, di come si vive lì nel centro del mondo, di come è assolutamente impossibile, inumano, incivile ed egoista, stare a guardare senza fare niente.
Quando tornerete, il nostro mondo, la nostra vita e le nostre piccole miserie quotidiane vi sembreranno talmente ridicole rispetto a ciò che avete vissuto, che vi vergognerete come ladri. Si, perché noi quotidianamente rubiamo loro quasi tutte le risorse, le usiamo e poi le buttiamo via. Ogni goccia d’acqua sprecata, ogni avanzo di cibo buttato, ogni rifiuto non riciclato, ogni luce lasciata accesa inutilmente, lo togliamo a loro. Non abbiamo nessun diritto di fare questo e non possiamo restare indifferenti a questa ingiustizia. Iniziate a cambiare voi, dentro voi stessi, a rivedere le vostre priorità e il vostro stile di vita. Parlate con tutti, parlate degli sprechi e degli eccessi a cui quotidianamente ci abbandoniamo in modo così incosciente. Molti, anzi la maggior parte, non vi ascolteranno, altri faranno finta di ascoltarvi e penseranno ad altro, altri ancora, ma molto pochi, si sforzeranno di capire il vostro punto di vista e altri ancora, pochissimi, vi capiranno un pò.
Ma chi vi capirà veramente, profondamente e intimamente, senza quasi bisogno di parole è chi ha fatto la vostra stessa esperienza. Con loro troverete un libro aperto e una condivisione di tutte le impressioni e le sensazioni che avete vissuto. Tristezza, rabbia, senso di colpa, frustrazione, inadeguatezza. Allora, per attenuarli, muovetevi, datevi da fare, agite, parlate e cercate di convincere altre persone ad andarci anche loro in Africa, a vedere con i loro occhi e toccare con le loro mani cosa vuol dire essere affamati e non avere il cibo, essere ammalati e non avere le cure, voler studiare e non avere le scuole, essere disabili e non potersi riabilitare. Non restate inermi, non pensate che prima o poi passerà, perché non passerà mai. Si attenuerà, diminuirà ma sarà sempre lì a ricordarvi che quando eravate a Baba Yetu, o a Cicetekelo o in qualsiasi altro posto, avete vissuto un’esperienza unica e irripetibile, non dimenticatelo.
Alessandra Solinas – Volontaria a Ndola – Zambia
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I video dei nostri volontari in Africa: https://www.youtube.com/watch?v=gPzGEbhpo-U&list=PLD90375963AB1ACF8&index=1