Hilder è una ragazza di 16 anni e ha iniziato a frequentare il centro quando tutte le scuole in Kenya erano chiuse per prevenire la diffusione del Covid. Vive a Githurai, una zona di Nairobi conosciuta come il “ghetto”, precisamente dalle parti di in una zona conosciuta come Majengo dove c’è un’alta concentrazione di giovani a rischio a causa della povertà, la vita in strada, il lavoro sessuale e l’abuso di sostanze psicoattive.
Durante l’intervista per raccogliere le informazioni socio-economiche necessarie a presentare la domanda per la borsa di studio, la mamma ci invita a casa sua: “Dovete venire a vedere con i vostri occhi come viviamo”. Ci rechiamo a casa di Hilder: è come la raccontava la mamma.
Mama Hilder è una donna single e vive in una casa di una stanza con Hilder, 3 sorelle più piccole e un bambino di pochi mesi. Lavora occasionalmente pulendo le case o i vestiti. Quello che guadagna non è sufficiente a garantire l’istruzione delle sue figlie: al momento soltanto le due bambine più piccole vanno a scuola grazie ad una sponsorizzazione.
Nel giro di una mattinata Hilder riesce a mettere insieme tutti i documenti necessari per iscriversi a scuola. Ha vinto la borsa di studio, sarà sponsorizzata per tutti e 4 gli anni di scuola secondaria. Non le resta molto tempo per prepararsi alla partenza, la scuola si trova nella regione di Turkana, molto lontano da Nairobi, ma a lei non interessa: deve assolutamente studiare.
La accompagniamo al mercato per acquistare la lunga lista dello shopping rilasciata dalla scuola: la tuta da ginnastica, le scarpe nere di pelle, un materasso, un lucchetto per custodire tutte le sue cose, etc. Finiti gli acquisti, è il turno del parrucchiere: le studentesse devono rispettare un’etichetta anche per i capelli. E’ sabato sera e si è fatto tardi a Githurai: incontriamo alcuni dei nostri ragazzi in situazioni di strada: tutti conoscono benissimo Hilder, la sua mamma e le sue sorelle. La ragazza ha iniziato a trascorrere del tempo alla rotonda e ha paura che la sua vita possa prendere brutte strade: una scuola lontana è la sua possibilità.
Il giorno dopo è tutto pronto per la partenza o quasi: purtroppo sono più di 24 ore che non si hanno notizie della sorella adolescente di Hilder, non è tornata a dormire. Hilder è molto preoccupata ma deve andare a scuola. Non c’è tempo di cercarla per i saluti. Alcuni ragazzi del progetto Special Children ci vedono in strada cariche di valigie e ci aiutano a caricarle fin sopra al bus. Il bus è vuoto e non accenna a muoversi. Decidiamo di raggiungere il luogo della partenza in taxi. Il taxi che Mama Hilder trova è un tuk tuk che impiega il doppio del tempo per arrivare a Lucky Summer: siamo in perfetto orario. E’ il momento dei saluti e degli abbracci.
Mama Hilder torna al centro un paio di giorni dopo per restituirci una felpa che avevamo prestato a alla ragazza quel sabato a Githurai, dentro c’è una lettera scritta da lei:
“Ringrazio L’AFRICA CHIAMA per essersi messa dalla parte della mia vita. Hilder.”
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Articolo di Matilde Giunti (cooperante in Kenya) sul progetto BLESSING GIRLS