LO SGUARDO DELL’AFRICA
Gli occhi. Se dovessi raccontare l’emozione più forte che ho provato in un mese di vita africana non esiterei un secondo a ricordare la profondità delle centinaia di paia d’occhi, di sguardi profondi che mi ha regalato questo viaggio. Occhi che ti rimangono dentro.
In poche ore di aereo ci si ritrova in una realtà opposta a quella a cui si è abituati, difficile da spiegare a parole: la gioia dei bimbi scalzi per la strada di terra rossa che ti sorridono e ti prendono per mano, la forza dei colori accesi dei tessuti che le giovani donne utilizzano per legare i bimbi sulla schiena, la serenità d’animo degli insegnanti e dei fisioterapisti della scuola del progetto nel quale abbiamo collaborato: una cultura tanto diversa ti invade e ti lascia senza parole, con il solo e continuo desiderio di vedere, di conoscere, di approfondire. Sforzandosi di avere l’umiltà necessaria per non giudicare mai, anche le abitudini e gli atteggiamenti che, dal nostro punto di vista, potrebbero sembrare discutibili.
Sei agganciata in un vortice, un turbine di emozioni e colori che ti pervade e ti fa innamorare di quelle terre, nonostante tutte le difficoltà e i disagi con cui questi uomini e queste donne convivono ogni giorno. La loro vita semplice e rilassata ti attrae, ti conquista.
Il cambiamento che subisce il tuo cuore non lo scopri in Africa… Il rientro è l’esperienza che ha fatto cambiare il mio punto di vista su ciò che conta davvero, costringendomi a mediare, spesso senza riuscirci nemmeno troppo bene, tra le logiche di qui e quello che di nuovo avevo imparato tra quelle donne e quei bimbi meravigliosi.
E forse è proprio andando in Africa che la tua sensibilità verso certe tematiche si acuisce: scopri, nella tua città, quanti africani si adattano alla nostra cultura e ti viene voglia di conoscerli, di parlare loro, di fargli sapere, orgogliosamente, che anche tu sei stata nella loro terra!
E ancora oggi, a più di due mesi dal rientro, sento di non aver compiuto qualcosa per quelle donne e quei bimbi, ma di aver fatto semplicemente qualcosa per me stessa.
Silvia Barbagelata, volontaria a Lusaka (Febbraio 2011)
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