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Senza questo viaggio sarei rimasta come tutti gli altri: gli occhi chiusi e le orecchie sorde.

Me lo avevano detto quelli che erano già stati lì e forse ne avevate accennato anche al corso di aprile, ma è anche vero che se non provi non sai come ci si sente. E’ un doppio trauma, quando arrivi e quando torni, ma quello del ritorno è decisamente peggio.

Quando sono arrivata ero felice perché tornavo a casa dai miei cari. Ho salutato parenti e amici, ho raccontato quello che ho visto e in parte, le mie sensazioni, ma non è semplice….tutti annuiscono, dicono che hai ragione, che si deve fare di più, ma nei loro occhi vedo una certa freddezza. E non mi piace. Sono certa che nessuno di loro può capire, a parte chi ha già fatto questa bellissima esperienza. Non è per essere cattivi, ma non è colpa loro, è così e basta. Non sanno perché non hanno visto quei visi, quegli occhi e quelle facce piene di rassegnazione eppure con tanta allegria e speranza. E’ difficile parlare e descrivere cosa ho visto quando mi accorgo che dopo un po’ l’attenzione di chi ti ascolta svanisce e penso che sto sprecando fiato! E’ difficile fare capire la complessità delle problematiche che affliggono questo popolo, anche perché neanche io sono riuscita a d avere risposte. Anzi, sono partita pensando di trovare risposte e sono tornata piena di dubbi più di prima. In più sento molto forte un senso di impotenza e incapacità a reagire davanti a tante ingiustizie. Appena torni parte subito il confronto tra lì e qui, tra lo stile di vita povero e semplice e il tripudio di esagerazione e di spreco della nostra società cosiddetta civile.

 

Nelle tre settimane zambiane ho girato tantissimo. Tutti i giorni vedevamo qualcosa di diverso e ti assicuro che ne ho visto di tutti i colori: orfani di famiglie intere falciate dall’Aids, bambini disabili trattati come bestie, ex prostitute (tutte HIV positive) con il viso segnato dalla sofferenza, centri nutrizionali pieni di giovani, vecchi e bambini affamati e stanchi, scuole cadenti e vecchie, miseria e povertà di ogni tipo, compound talmente fatiscenti da non riuscire neanche a fare le foto, uomini ubriachi di cachassa (quel liquore locale distillato dagli scarti dei rifiuti) dalle 11 del mattino per non sentire la fame, bimbi di tre mesi che pesavano 3 chili……..e altro ancora. Per non parlare della mondezza bruciata per strada, le strade piene di buche enormi, le miniere sfruttate dalle cordate di canadesi, statunitensi, cinesi e indiani, luce e acqua che vanno via senza preavviso, le linee telefoniche che funzionano a singhiozzo e così via.

Però ho visto anche cose belle. La gente contenta perché distribuivamo da mangiare, i sorrisi dei bambini, l’accoglienza con balli e canti nei centri nutrizionali, i gruppi di ascolto per HIV positivi, i ragazzi di strada recuperati che invece di sniffare colla giocano a calcio, i gruppi di microcredito che hanno restituito interamente il prestito, l’affetto dei ragazzi disabili che lavorano nella fattoria di Mary Christine, le signore dei compound contente perchè entravamo nelle loro case e mangiavamo il loro cibo.

Insomma, una terra con tante contraddizioni ma tante potenzialità e un popolo che, se vuole, sa fare grandi cose, ma che è stato devastato da anni di dominazione e sfruttamento.

Le sensazioni che provo si alternano tra speranza e depressione, tra senso di solidarietà e semplice constatazione della realtà delle cose, che è tristissima. La certezza di non avere la bacchetta magica per risolvere tutto e fare tutti felici, l’impossibilità di far capire a fondo a chi non ha visto….perchè è veramente così, se non vai lì, se non vedi non puoi capire……io renderei obbligatorio un soggiorno in Africa per tre settimane a tutti………le cose cambierebbero…….Noi qui siamo degli incoscienti. Sprechiamo tutto: il cibo, l’acqua, le risorse, l’energia….bastano pochi gesti per ridurre o limitare questo spreco. Noi abbiamo tutto e loro non hanno niente, eppure vivono lo stesso e molti di loro sono allegri e vivaci, anche se non sanno cosa daranno da mangiare l’indomani ai loro figli.

Comunque, al di là di questo l’esperienza è stata bellissima, ho conosciuto tante persone splendide e ho visto tantissimo.

Nelle tre settimane zambiane ho scattato circa 250 foto e ho scritto tutti i giorni un diario, per non dimenticare. Ho descritto ciò che ho visto e le mie sensazioni personali, così spero di aver fissato le impressioni del momento.

Ora mi serve solo qualche giorno per riordinare le idee e le foto e pensavo di mettermi in moto per aiutare l’Africachiama e il Progetto Rainbow. In effetti il coordinamento svolto da Rainbow sembra la scoperta dell’acqua calda e invece è stata un’intuizione geniale. Nel senso che prima i progetti di aiuto erano disaggregati, mentre adesso c’è un coordinamento vero ed efficace e sembra funzioni bene.

Ringrazio L’Africa Chiama infinitamente per avermi dato la possibilità di fare questa bellissima esperienza. Senza il loro intervento sarei rimasta come gli altri, con gli occhi chiusi e le orecchie sorde al grido di aiuto di questo popolo così sfortunato.

Alessandra Solinas – Ndola (Zambia), Agosto 2008


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