Articolo di Martina, volontaria in servizio civile Italia
Oggi vorrei raccontarvi un dibattito avvenuto qualche giorno fa con un’amica.
Tutto nasce dopo la visione di Black is King film musical e album visivo realizzato da Beyoncé distribuito da Disney Plus. Nonostante la mia età sin da bambina ho sempre amato i film Disney perciò non appena scoperta la collaborazione tra l’artista e lo studio ho dovuto immediatamente vederlo.
Una volta terminata la visione io e la mia amica ci siamo accorte di quanto fossero divergenti le nostre impressioni e sensazioni. Essendo una cinefila incallita mi piace molto soffermarmi sugli aspetti più tecnici dei film per poi passare a quello che la pellicola è riuscita a trasmettermi. Fotografia, costumi e ambientazioni erano mozzafiato e su questo né io né la mia amica avevamo dubbi. Quando però abbiamo iniziato a parlare delle nostre considerazioni sul messaggio contenuto all’interno del progetto musicale ho realizzato che era come se avessimo visto due film completamente diversi. Mentre io ero letteralmente estasiata dalla forza prorompente che il film mi trasmetteva la mia amica era quasi infastidita. Quelle che per me erano manifestazioni di fierezza e orgoglio per lei erano solo ostentazione e pomposità.
Dopo averle fatto alcune domande mi rendo conto che ciò che la metteva a disagio era il fatto che si sentisse esclusa e quasi discriminata. So che quest’ultimo è un termine forte ma credo renda bene l’idea. Un film fatto da persone nere, con persone nere e per persone nere. Perché la verità è questa. Un inno spassionato all’auto-accettazione e al non vergognarsi delle proprie origini, tradizioni, diversità ma ad abbracciarle perché sono proprio quelle a renderci ricchi, che mostra che esistono due lati della medaglia e che non dobbiamo per forza stare in quello meno fortunato, che le cose si possono e devono cambiare. Nello stesso momento in cui elaboro questo mio pensiero mi rendo conto che quello che turba maggiormente la mia amica è il fatto che non si senta rappresentata. Compare una sola persona bianca durante tutto il film ed oltretutto svolge un lavoro umile – il domestico – con l’unico scopo di soddisfare le richieste dei “padroni” che in questo caso sono appunto neri. Improvvisamente mi rendo conto che la sua “normalità” era stata completamente ribaltata e che stava provando quello che io e tante altre persone come me abbiamo provato ogni giorno sin da bambini.
Ricordo che quando da piccola guardavo la televisione mi sentivo inadeguata e fuori luogo rispetto a quelli che erano i canoni estetici rappresentati. Ricordo che provavo a nascondere i miei capelli ricci, il naso a patata e le mie curve. Ricordo anche che indipendentemente da quale canale guardassi non trovavo mai una donna in cui identificarmi. Quando finisco di parlare la mia amica improvvisamente si ammutolisce. Era indignata e quasi arrabbiata con sé stessa per non essersi resa conto di quanto il film avrebbe potuto aiutare a rompere quelli che erano e che sono tutt’ora gli stereotipi che attanagliano le persone nere e soprattutto le donne. Ed è proprio questo lo scopo del film. Mostrare che anche se le cose sono sempre state in un modo, non significa che questo sia giusto. Così dopo queste riflessioni inizia un discorso più limpido, sincero e privo di risentimento. Nel mondo del cinema, ad esempio, le donne nere sono state rappresentate per anni solo come domestiche e tate, sempre al servizio di qualcun altro.
L’obiettivo del film è proprio quello di mostrare alle giovani donne che possono ambire ad essere molto di più. La presenza di personaggi come Kelly Rowland, Naomi Campbell, Lupita Nyongo e Adut Akech hanno lo scopo di ispirare le nuove generazione ad essere determinate ed ambiziose. Black is king potrà anche non piacere ma, a mio parere, è quello di cui ogni giovane donna nera aveva bisogno. Vi racconto questa storia perché sono fermamente convinta che la rappresentazione sia fondamentale nel processo di crescita e di sviluppo di ognuno di noi indipendentemente dall’età. Credo che avere dei modelli che ti ispirano e ti spronano sia importante per aiutarci a diventare le persone che vorremmo essere e per stimolarci a fare la differenza. Scegliere saggiamente il proprio role model significa subire la sua influenza positiva e ricevere gli stimoli giusti per poter migliorare.
Nel mio caso uno dei discorsi che più mi ha ispirato è stato quello di Viola Davis pronunciato durante l’accettazione dell’Emmy Awards per migliore attrice protagonista nella categoria Dramma. Il suo discorso ha fatto scalpore non solo perché è stata la prima donna afroamericana a vincere quel riconoscimento, ma soprattutto per il grande messaggio che ha voluto trasmettere. Citando Harriet Tubman, Davis ha affermato: “Nei miei sogni e nelle mie visioni, mi sembrava di vedere una linea, e dall’altra parte di quella linea c’erano campi verdi, fiori adorabili e belle donne bianche, che allungavano le braccia verso di me oltre la linea, ma non potevo raggiungerli in nessun modo ” – e ha concluso “Non puoi vincere un Emmy per ruoli che semplicemente non ci sono. (…) Lasciate che vi dica una cosa: l’unica cosa che separa le donne nere da chiunque altro sono le opportunità”. So che ad alcuni queste parole potrebbero non toccare o non interessare ma credo che possano comunque servire ad avere una visione diversa e più aperta di com’è la realtà. Per me è stato un importante spunto di riflessione che mi ha aiutato a scoprirmi meglio e che spero possa aiutare anche voi.
Viola Davis è solo una dei miei role model, quali sono i vostri?
Martina Kansengo, volontaria in servizio civile Italia
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