16 Giugno 2014
Ieri l’aereo della Kenya AirWays, con partenza da Lusaka, dopo tre ore di volo, ci ha portato a Nairobi, capitale del Kenya, dove ci aspettava con tre ragazzini Alessandro Montesi di Fano, il nostro cooperante nella baraccopoli di Soweto dal mese di settembre 2013.
Sabato 15 Giugno abbiamo incontrato e salutato l’arcivescovo di Lusaka, Telesforo Mpundu, che ha visitato quattro anni fa i nostri progetti a Kanyama e che è stato nostro ospite a Fano. Ci ha accolto con molta simpatia ed ha assicurato molta attenzione e sostegno alle nostre iniziative umanitarie in Zambia.
Arrivati all’aeroporto di Nairobi carichiamo i nostri bagagli sul minibus, qui si chiama Matatu, lungo il tragitto osserviamo diverse baraccopoli (sono circa duecento) dove cercano di sopravvivere circa due milioni di persone, quasi metà della popolazione totale, occupando appena il due per cento del territorio comunale.
Lungo il tragitto attirano il nostro sguardo tante simpatiche caprette che pascolano ai bordi della strada, la costruzione di un grandioso ospedale opera dei cinesi (presenti in molti paesi dell’Africa) ed un’estesa piantagione di caffè (la paga giornaliera di un operaio è di due euro al giorno).
Ecco Soweto, una piccola baraccopoli di circa diecimila abitanti, dove L’Africa Chiama da dieci anni ha iniziato ad operare con diversi interventi per le fasce più deboli della popolazione.
Con noi c’è Marco Moscatelli, volontario di Fano, per la prima volta in Africa, che resta molto colpito dalle condizioni disumane in cui è costretta a vivere questa povera gente.
Arrivati al nostro Social Center “Shalom”, costruito nel 2005 con l’aiuto di tanti amici e sostenitori,
ci accolgono i quattro cani di Alessandro, tanti fiori e piante e una casa accogliente con mobili molto africani.
Oggi è lunedì: alle 7,30 arrivano i primi ragazzi di strada, con loro c’è Ken, di sei anni che arriva da Kidurai, un quartiere qui vicino. Alessandro ci dice che ha già fatto uso di “colla” ( qui la droga si chiama così): vive con la nonna, gli offriamo una banana. In mezz’ora ne arrivano una ventina, tutti molto felici di passare tre giorni alla settimana con Alessandro ed una operatrice al Centro. Molti di loro arrivano assonati e con vestiti laceri e sporchi, si fanno la doccia e indossano abiti puliti, lavati dalle nostre operatrici locali, che di solito sono le mamme dei bimbi disabili. A questi bambini “di strada” (sono oltre centomila a Nairobi) è data la possibilità di giocare a pallone, mangiare e seguire lezioni di matematica e inglese perché quasi tutti sono analfabeti.
Munjao, l’educatore, ci dice “ Senza L’Africa Chiama questi bambini sarebbero perduti”.
Italo Nannini
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