UN ANNO DOPO L’ESPERIENZA A KANYAMA
Il grido è forte. L’eco soffre la distanza ma insistente continua a propagarsi dentro di me,con me. Lo sforzo del ricordo si fa sempre più faticoso,eppure inevitabile. E’ passato un anno.
E’ passato un anno da quando atterravo in una terra d’altri tempi,d’altri mondi forse.
E’ passato un anno da quando in questo stesso momento,a questa stessa ora,scrivevo cercando la fiamma debole di una candela che ancora non sapevo tenere accesa.Da quando nella mia stanza,sul letto,sotto la zanzariera,inventavo una posizione comoda per abbandonare sulle pagine di un diario l’africa che ti entra dentro.
E’ passato un anno ed ora le mie mani sono tornate a premere i tasti di un asettico computer,la luce è quella di un neon,le parole sono quelle prestate dal ricordo e dalla malinconia.
E’ passato un anno eppure sento sulla pelle lo stesso odore che la sera impregnava i miei vestiti. Sento le notti tormentate dalle veglie funebri,i canti disperati delle madri attorno ai corpi dei loro bambini. La presenza ingannevole dell’AIDS a tormentare le loro vite.
Rivedo quel cielo meraviglioso,la natura che ti culla,le stelle che si fanno sfiorare.
E’ passato un anno e domani mattina non sarò lì.
Non potrò seguire gli ultimi giorni di scuola,non potrò ammirare i volti dei bambini in divisa con le matite in mano e il quaderno sotto braccio mentre in fila aspettano fieri di entrare in classe.Non potrò guardare i loro irresistibili sorrisi davanti a un piatto di fagioli e polenta mentre saltellando si siedono quasi increduli del cibo che attraversa il loro stomaco.
Non potrò sentirmi travolgere dai loro abbracci,dalle voci insistenti.
Le mie mani non potranno incrociare le loro.Le loro dita non potranno districare i miei capelli ,accarezzarli dubbiosi per la strana consistenza.
Non potrò arrabbiarmi quando mi dicono che vorrebbero avere la mia pelle e non potrò spiegargli che la loro è ugualmente bella,ugualmente importante,ugualmente dignitosa.
E’ passato un anno.
Sento ancora quella strana sensazione di vita e di morte che ti chiude lo stomaco,che ti blocca il respiro. Sento ancora il respiro lento di quei corpicini abbandonati tra le braccia in un sonno sereno,liberati dai brividi di freddo nel ritrovato tepore di un abbraccio.
Sento le canzoni,i lamenti della fame,le grida di gioia,i singhiozzi delle violenze.
Sento la rassegnazione e insieme la speranza,l’indignazione e l’ostinazione.
Sento la puzza di merda e vedo vite che strappano ogni giorno dignità e sopravvivenza a quel destino.Vedo la forza e resto immobile.
E’ passato un anno.
Siedo sul mio letto,il computer sulle gambe,la contraddizione dietro l’angolo.
La mia testa è in quella stanza,sotto quella zanzariera,in posizione tattica per sfruttare la poca luce.
Vorrei poter guardare all’africa che ho dentro con una soluzione per il suo male e invece l’impotenza è l’unico inutile risultato che so offrirgli. Vorrei poter rispondere alla fiducia, che gli occhi che ho incontrato hanno riposto in me, con un’alternativa di vita migliore, ma non posso. Vorrei ripensare alle manine sporche sulle mie magliette regalando loro il futuro che vogliono e non quello che subiscono. Vorrei non dover deludere le loro speranze eppure, per onestà, dovrò farlo.
E’ passato un anno e non c’è stato giorno che l’africa non abbia gonfiato il mio respiro, non c’è stato un giorno che non abbia riempito i pensieri di serenità e preoccupazione.
Qualcuno dice che ti entra dentro e non puoi più farne a meno. Che si amalgama alla tua vita in una trama inestricabile. Che diventa un bisogno al quale non puoi rinunciare.
E’ passato un anno.
Mi addormenterò insieme al ricordo ancora vivo di una penna su di un foglio, alla luce di una candela, nel silenzio della miseria, al grido della vita….
Giorgia Prati – volontaria a Lusaka in Zambia
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