Stop The Violence, progetto per supportare le vittime di abusi a Kanyama
Articolo di Adele Manassero volontaria in servizio civile (Zambia)
Trovare le parole per iniziare a parlare di violenza di genere è molto difficile. Tra le molte problematiche nel compound di Kanyama, la violenza di genere è tristemente presente all’appello. Ma procediamo per piccoli passi.
Per poter entrare in questo mondo complesso e comprenderne la vastità, è utile partire da una definizione: “la violenza di genere è qualsiasi abuso fisico, sessuale, emotivo o psicologico, sociale o economico di una persona a causa del genere o dell’identità sessuale di questa persona”. Per definizione quindi, non si tratta di violenze esclusivamente dirette alle donne e limitate all’ambiente domestico, ma possono essere dirette a persone di ambo i sessi in pubblico, in privato o in ambiente domestico. Abusi comuni e diffusi in tutti gli angoli del pianeta, in ogni contesto assumono caratteristiche particolari in base alle problematiche presenti, come il tasso di alcolismo, l’abuso di droghe e la povertà, ma anche in base ai rituali e alle norme culturali, alle credenze e alle disuguaglianze di genere.
Un marito picchia regolarmente la moglie, provocandole lividi e ossa rotte, e questa essendo una casalinga che accudisce i figli non se la sente di andare dalla polizia, perché così facendo rimarrebbe senza soldi e le sarebbe impossibile badare ai figli. Picchiare, prendere a pugni, battere, schiaffeggiare, strangolare, bruciare, usare armi come coltelli, pistole o lo “shamboko” (bastone) causando ferite, morte o danni fisici esterni o interni: questo è forse il tipo di abuso più conosciuto, quello fisico appunto, ma è solo una delle quattro possibili violenze di genere. Altra casistica nota è l’abuso sessuale che comprende appunto lo stupro, l’incesto, le molestie e la deflorazione di minore. Quest’ultimo caso viene spesso giustificato come “cura” o “purificazione” per adulti sieropositivi, aggiungendo altro orrore e disinformazione.
Le violenze poi possono essere a livello psicologico ed emozionale e lasciare ferite e cicatrici altrettanto profonde, anche se non visibili ad occhio nudo. Abusi verbali, insulti, parole violente e umilianti a casa, a scuola, sul luogo di lavoro, negli ospedali e nelle centrali di polizia, ovvero in tutti i luoghi in cui una persona dovrebbe sentirsi protetta, al sicuro e accolta, e perpetrati proprio da quelle figure come i genitori o familiari, gli insegnanti, il capo o i colleghi, gli addetti alla cura e alla sicurezza, che dovrebbero educare ed ispirare fiducia. A completare il quadro, gli abusi economici, quali l’accaparrarsi l’eredità e i beni di una persona deceduta senza rispettare le leggi vigenti e a scapito di altri membri della famiglia o negare i beni primari o le opportunità finanziarie a qualcuno, rientrano nella complessità della violenza di genere. Basti pensare ad un marito che impedisce alla moglie di lavorare per poter mantenere il controllo sulla sua vita, privandola non solo dell’indipendenza economica, ma relegandola tra le mura domestiche, lontana dal mondo esterno e dall’informazione. A differenza dell’opinione comune secondo la quale si tratta esclusivamente di un retaggio arcaico e di una “mentalità tradizionale” che vede la donna come sottomessa e ubbidiente, si tratta di abusi e violenze perpetrati anche da persone (di ambo i sessi) istruite.
Lo Zambia, firmatario di carte e trattati internazionali in materia, addomesticati con l’Atto contro la violenza di genere del 2011 e l’Atto per l’equità e l’uguaglianza di genere del 2015, si inserisce in un più ampio contesto legislativo che non solo riconosce la violenza di genere, ma fornisce strumenti, risorse e formazione a tutte le figure che possono intervenire a tutela delle vittime: dai poliziotti che ricevono le denunce, al personale ospedaliero che cura e comprova la veridicità della violenza, ai counselor, assistenti sociali e psicologi che sensibilizzano, informano e aiutano le vittime a prendere consapevolezza e coraggio per denunciare. Dal 2012 al 2017, i casi riportati alla polizia sono passati da circa 13 mila a 21.500 a livello nazionale, ma rimangono solo una parte delle violenze realmente perpetrate ogni giorno, sia per mancanza di informazione che per vergogna e paura.
A partire da aprile, al Centro Shalom è attivo il progetto “Stop The Violence”, finanziato dalla Fondazione PRO.SA, che mira proprio a supportare le vittime di violenza di genere a Kanyama, dove il numero di casi di violenza ha raggiunto livelli allarmanti. Con una particolare attenzione ai casi di abuso nei confronti di donne e bambine, due operatori locali, un counselor e un’assistente sociale, compongono un’unità mobile che, interagendo con la comunità del compound, individua e monitora eventuali casi di abuso e indirizza le vittime presso il centro dove queste possono usufruire di consulenze sanitarie e legali, di servizi di riabilitazione psicologica e/o essere accompagnate in centri specializzati negli stessi servizi in altre zone della città.
Così, camminando fianco a fianco alla comunità in questa periferia, le singole vittime possono trovare un luogo dov’essere ascoltate, consigliate e guidate attraverso il percorso lungo e difficile di riconoscimento e recupero dei loro diritti e della loro dignità.
Adele Manassero, volontaria in Servizio Civile internazionale in Zambia