Che cosa spinge una persona a lasciare il proprio Paese per rifugiarsi in un altro Stato completamente, totalmente diverso dal proprio? “Ho lasciato la Costa d’Avorio perché avevo perso la mia famiglia, il mio lavoro e ogni possibilità di vivere come desideravo a causa della guerra” spiega Adam, un ragazzo profugo africano, risiedente da sette mesi nel centro rifugiati di Belgatto (Roncosambaccio), “Ho lasciato il mio Paese per inseguire l’unica cosa che conta davvero per me, la libertà”.
La guerra, che sia dettata dalla religione, da ideologie e contrasti politici, dal divario culturale o dall’immaginario collettivo di una determinata epoca, toglie ogni speranza, taglia i ponti con il futuro di ogni uomo, donna o bambino, impedendo loro di realizzarlo e realizzarsi. Il bel mondo è sempre stato messo a dura prova, nel corso della storia, dalla violenza, dalla povertà, dai soprusi, dalle persecuzioni e dai genocidi di massa. Ma “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona”, come recita la Dichiarazione dei diritti dell’uomo del 1948. Ogni uomo, donna o bambino ha il diritto di vivere libero, come essere dignitoso e tutelato dalla giustizia. E non è solo la guerra che spinge le persone ad emigrare verso altri Paesi. Milioni di abitanti del Sud del mondo, impoveriti dai Paesi occidentali che si appropriano delle loro ricchezze, si spostano per cercare un futuro altrove, dove gli è concesso. “I miei genitori non avevano abbastanza denaro per mandare me e i miei fratelli a scuola, e io avevo nelle mie mani il mio futuro da proteggere” dice Francis, un altro ragazzo profugo originario della Nigeria, risiedente nel centro rifugiati di Belgatto da oltre undici mesi “Il mio sogno è quello di diventare un calciatore ed è per questo che avevo bisogno di lasciare il mio Paese, per poter trovare una vita migliore al di fuori”. “Il desiderio è ancora più forte quando è appeso a un filo” e averne uno diventa ragione di forza in situazioni estreme, motivo di sopravvivenza.
Ma come ci si sente ad abbandonare il proprio Paese, lasciando tutto quello che si ha, cambiando in toto le proprie abitudini, adattandosi a nuove realtà? “Non ho sentito niente, se non il desiderio di vedere i miei sogni diventare realtà” afferma Francis “Come un uomo con una visione e una missione da portare avanti”. “Non volevo lasciare il mio Paese, ma sono stato costretto a farlo” prosegue Adam “Non potevo andare all’università perché era chiusa a causa della crisi post-elettorale del mio Paese e la guerra che è scoppiata mi ha tolto ogni altra possibilità, se non quella di fuggire”. Francis e Adam hanno due storie diverse e differenti sono i motivi che li hanno spinti a lasciare il proprio Paese. I due hanno attraversato il Sahara percorrendo Paesi e tragitti diversi, ma entrambi hanno passato le stesse difficoltà, provando le stesse paure, e allo stesso tempo avendo il coraggio di affrontare la traversata spinti dalla propria forza d’animo, da una paziente determinazione.
I ragazzi profughi infatti impiegano mesi, a volte anche un intero anno, per arrivare sani e salvi oltremare. Il loro non è un viaggio di piacere. Non hanno bagagli con loro, nessun oggetto che possa rallentarli, nessuna presunzione su quello che accadrà, solo i ricordi di quello che hanno passato e l’attesa di un futuro migliore. Il loro è il viaggio della speranza. “Il mio viaggio è stato duro e difficile. Ho viaggiato attraverso il deserto fino alla Libia e poi per mare, dove sono rimasto per diciotto ore” racconta Francis “Dopo di che io e i miei compagni di viaggio abbiamo incontrato una nave, che ci ha presi e portati insieme ad altre persone in Italia.”
“Quando sono arrivato in Niger un arabo mi ha reclutato con altre dodici persone, promettendoci di portarci in Algeria” rivela Adam “Ma quando siamo arrivati in Libia e non in Algeria, ho capito che quell’uomo era un trafficante di esseri umani. Sono stato costretto a lavorare cinque mesi senza ricevere soldi, con una guardia sempre vicina che mi controllava, prima di riuscire a scappare”.
Il possesso di una vita umana, il suo sfruttamento, la sua reclusione, sono solo alcune delle forme di coercizione che gli immigrati provenienti dai Paesi del Sud del mondo (come Siria, Africa, Afghanistan) devono affrontare per avere una vita migliore. Ma loro sono disposti a farlo, proseguendo il viaggio attraverso il Mediterraneo, stretti in un barcone, 200 o più persone avvinghiate tra loro senza cibo né acqua per interi giorni. Sfidano il rischio della morte per mare, lottano contro la fame, la sete e l’infinità ignota delle acque. Spesso non sanno dove verranno portati e quando approdano finalmente a destinazione per essere smistati nelle varie città e nei vari centri di accoglienza, provano sollievo, ma anche paura ed incertezza per quello che troveranno di fronte a loro da quel momento in avanti. “Il mio sogno è sempre stato quello di diventare un calciatore” dice Francis “Un giorno forse riuscirò a realizzarlo. E il modo per poterci riuscire è quello di migliorare me stesso.” “Credo che il futuro sarà bello, perché Dio ha detto che dopo la sofferenza c’è gioia” prosegue Adam “Sì, credo che la vita sarà bella”.
Alice Baldelli – volontaria in servizio civile
Video-testimonianza di Adam su NoiMondoTv durante la SETTIMANA AFRICANA 2015
https://www.youtube.com/watch?v=hPD-3b8Td_I&list=PL3908569BFE1E67F5&index=2