- Quale è stato il primo impatto?
Difficile esprimere con le parole le svariate sensazioni che ti accompagnano durante questo tipo di esperienza. Tutto è amplificato al massimo e anche il più piccolo dettaglio diventa qualcosa di molto forte e sentito. Non avevo preconcetti o attese e forse questo ha contribuito a rendere tutto più pulito. Personalmente è stato un inizio o un impatto molto silenzioso.
Cercavo di assorbire quanto più possibile quasi stando in un angolo, per non disturbare. Perché la sensazione più forte è quella di poter invadere anche senza volerlo.
- Raccontaci le principali attività che hai svolto durante la tua esperienza
Diverse sono le attività che si svolgono al centro: la scuola, la cucina, la fisioterapia per i diversamente abili, l’attività della clinica, la sartoria, il pollaio. E poi l’attività dei nostri ragazzi (lo Staff italiano) di coordinamento, organizzazione e cura dei rapporti, sempre molto delicati e importanti per l’equilibrio di un qualcosa che apparentemente sembra semplice ma che costa davvero tanto impegno e dedizione.
Per quanto mi riguarda ho cercato di aiutare in quelle attività sempre nel rispetto dei lavori svolti e della delicatezza di alcune situazioni, come lo era per il centro di fisioterapia o della clinica.
Per la maggior parte ho dato una mano in cucina e questo mi ha permesso di stare a contatto con tanti bambini, che sono in realtà la vera forza di tutto questo lavoro. E’ stato bello immergersi con assoluta discrezione e a piccoli passi, così da essere accettato e incluso nel loro piccolo grande mondo fatto di cose assolutamente semplici.
Raccontaci un episodio o una giornata che ti ha colpito particolarmente
C’è stato un momento che ha segnato fortemente questa esperienza. Ogni mattina facevo il giro del centro per salutare operatori e bambini. E come ogni mattina aprivo lentamente la porta del centro di fisioterapia perché sapevo di entrare in un piccolo mondo di un mondo più grande. Era il mondo dei bambini forti e coraggiosi, delle madri pazienti e amorevoli che accompagnavano i loro piccoli in un percorso diverso. Era quello l’unico momento della giornata e di tutta l’intera esperienza in cui sentivo i bambini piangere. Diversamente i bambini non piangono mai. L’unico motivo per cui piangevano era il dolore vero. Il dolore di una accurata e amorevole fisioterapia. Quel dolore mi attraversava il cuore e la mente e all’inizio mi sentivo fuori luogo. Avevo paura, quasi con convinzione, di dare fastidio o di essere un elemento inutile in quella stanza. Ma puntualmente, da un bambino, da un genitore o da uno dei dottori mi arrivava un sorriso, quasi a consolarmi, quasi a dirmi sta tranquillo, va tutto bene. Ricordo che ci stavo per poco all’inizio, seduto su una panca osservando la grande dignità che aleggiava in quella stanza, nonostante le difficoltà nella difficoltà già grande di una vita magari povera e senza prospettive. Ma nonostante questo, ognuno faceva la sua parte. Con assoluta dignità. E’ stato meraviglioso essere contagiati dalla loro dignità.
Parlaci di una persona (operatore o beneficiario) che ti è rimasto nel cuore o a cui ti sei legato
Kenneth. Lui mi è rimasto nel cuore per avermi insegnato la cosa più importante. La dignità di provarci, sempre e comunque. Nonostante la vita. Nonostante tutto.
L’ho conosciuto una mattina, lì sulla sedia a rotelle arrangiata con una sedia di plastica. Non cammina Kenneth. Non può. Ha difficoltà di linguaggio. Ha problemi alle mani. Ed era lì a fare esercizi facendo su e giù con le mani attaccato ad un piccola asta legata a due pesetti da 1 kg l’uno.
Era lì sotto lo sguardo della mamma attenta a tenergli i piedi poggiati al sostegno piuttosto improbabile della sedia. E mi sono seduto accanto a lui, aiutandolo a tirare giù l’asta quando non ce la faceva. Parlava poco e male…eppure i suoi occhi dicevano tutto. Provavo una gran pena nel cuore eppure lui sorrideva. E contava fino a dieci. E arrivare a dieci per lui era come segnare un gol all’ultimo minuto di una finale di coppa. Ma è diventato il mio insegnante il giorno in cui steso sul tappeto, cercava con tutto se stesso di girarsi su un fianco e poi sull’altro. E quando dopo l’enorme sforzo per fare un esercizio così semplice per fortunati come me, ha provato in tutti i modi a risalire da solo sulla sedia. E io lì, silenzioso, ho provato un rispetto e un senso di forza e dignità mai provati in vita mia. Lui mi ha insegnato che lottare è importante e anche se alla fine non riesci a salire da solo sulla sedia, ciò che conta è provarci con tutto te stesso. Sempre. Grazie Kenneth. Ti porterò per sempre nel mio cuore.
Un ringraziamento di cuore va a tutti i ragazzi: Francesco, Pamela, Michela e Umberto.
In particolare a Francesco che ha saputo guidarmi in maniera intelligente e discreta in una realtà così complessa e dagli equilibri davvero delicati.
Fra i progetti che hai potuto visitare, quale ti è piaciuto di più e perché? Descrivilo brevemente.
Ogni progetto mi è piaciuto. Ogni cosa ha la sua funzione e la sua utilità in un contesto così delicato. Ma la sensazione che ho avuto è che queste persone hanno bisogno di credere in se stesse, nelle loro capacità e nei loro mezzi e questo è possibile solo se qualcuno da loro la possibilità di conoscere se stesse e il contesto in cui vivono. E in questo, a parte la scuola che riveste un ruolo fondamentale in un processo di conoscenza, è importante il lavoro svolto nell’attività di divulgazione dei problemi che stanno alla base di una società così flagellata dall’aids e dalle malattie veneree ancora molto diffuse. Un ruolo fondamentale è svolto da Agnes, che con amore e dedizione cerca di informare sull’importanza dell’igiene, dell’uso dei preservativi e sulla trasmissione di malattie che possono essere evitate. Un progetto anche molto bello e concreto è quello di cui Francesco mi ha parlato e che gli sta davvero a cuore. La possibilità di poter introdurre tra i servizi della clinica, la somministrazione di un farmaco che nell’ultimo periodo di gravidanza da la possibilità di non trasmettere l’hiv al feto. Credo sia un progetto davvero utile a diminuire la percentuale di bambini che nascono portandosi sulle spalle un peso così grande come l’aids.
Cosa hai imparato da questa esperienza e come sei tornato?
Durante questa breve e intensa esperienza in Zambia, mi sono definito “turista-volontario”.
Perché non puoi fare nulla di concreto se non essere uno spettatore di un mondo così diverso da quello che sei abituato a vivere ogni giorno. Nonostante abbia avuto la possibilità di “dare una mano”, questa realtà ha bisogno di persone che ci mettono il cuore e l’anima, concretamente.
E in questo L’Africa Chiama riesce davvero alla grande. Il contributo di tutte le persone, che a vario titolo fanno parte dell’associazione, è fondamentale e meritevole. Quando sono partito ho scritto ai ragazzi che stanno a Lusaka, che un giorno, grazie anche al loro lavoro, questo mondo sarà un mondo migliore per tutti.
Grazie a questa esperienza ho arricchito la mia anima. Ho imparato una lezione di dignità che non ti insegnano da nessuna parte. Porto nel cuore il sorriso di tutti quei bambini che mi hanno scaldato il cuore e arricchito l’anima con una moneta invisibile ma di gran valore.
Leggere queste parole è assolutamente non comparabile a ciò che mi porto dentro.
Sono felicissimo di aver avuto la possibilità di una esperienza così ricca.
Ivan Russo – volontario Zambia (Gennaio 2013)
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I video dei nostri volontari in Africa: https://www.youtube.com/watch?v=CikNEVTzNGc&list=PLD90375963AB1ACF8