Articolo di Sarah volontaria in Africa (servizio civile Tanzania)
Ti capita mai di sognare che cerchi di parlare o chiedere aiuto e non ti esce la voce e nessuno può sentirti o capirti? È una sensazione inquietante, solitamente mi risveglio dal sogno agitata e spaesata. L’impossibilità a comunicare crea una frustrazione ed alienazione che negli ultimi 10 anni, ossia da quando capisco e parlo inglese abbastanza bene, ho provato raramente, se non addirittura quasi mai.
L’inglese per me è sempre stato un comodo salvagente che mi permetteva di sopravvivere e comunicare in più o meno tutti i paesi in cui sono passata da turista o viaggiatrice e in cui, per il tempo limitato che avevo a disposizione, riuscivo a scalfire appena la superficie. Ma questa strategia non può funzionare qui ad Iringa, Tanzania.
La Tanzania infatti, a differenza della maggior parte dei paesi africani che hanno adottato come lingua nazionale la lingua dell’epoca coloniale (francese, inglese o portoghese), ha scelto lo Swahili, che è stata in parte anche strumento per l’unificazione di un paese che racchiude al suo interno più di 125 tribù con le proprie lingue. Grande fautore del consolidamento di questa lingua come lingua nazionale è stato Julius Nyerere, primo presidente della Tanzania, che ha riconosciuto l’importanza di dare al popolo tanzaniano una lingua comune che aiutasse anche a creare un’identità nazionale.
Lo Swahili originariamente parlato sulla costa del paese, era usato principalmente per il commercio, pur essendo una lingua Bantu oggi il suo vocabolario è composto da quasi un 15% di parole di origine araba, derivanti dall’influenze dei mercanti che passavano per i porti del paese. È anche grazie a questa sua natura commerciale che la lingua si era diffusa nell’entroterra prima dell’indipendenza della Tanzania.
Oggi in Tanzania tutti parlano swahili come prima lingua e l’inglese è solo la lingua degli studi universitari, quindi è quasi del tutto sconosciuta alla maggior parte della popolazione, alla luce di questo, qui, dove vivrò il mio anno di servizio civile, la mia lingua-salvagente serve a poco e la sensazione di non riuscire a comunicare autonomamente mi ricordava lievemente la sensazione provata al risveglio di quei sogni in cui nessuno mi capiva e mi sentiva.
Per questo appena dopo il nostro arrivo abbiamo iniziato un corso di lingua swahili, e per quanto l’assimilazione di una lingua sia lenta e abbia bisogno di pratica, ogni giorno sento che la mia voce diventa più forte, che le persone iniziano a rispondermi e che io riesco in qualche modo a capire ciò che mi dicono.
Inoltre, ho iniziato a raccogliere tasselli che mi permettono di interpretare meglio il mondo intorno a me, una parola, un cartello, degli spezzoni di conversazione, e tutto ciò aiuta ad andare oltre quella superficie che prima vedevo ma non capivo del tutto.
Sarah Bastianello, volontaria in servizio civile in Tanzania