“Non so di preciso quando inizia la magia ma so che inizia sempre quando non te ne vuoi più andare. Dai luoghi, dai pensieri, dalle persone.” Cesare Pavese
Quando sono partita per l’Africa non sapevo bene cosa aspettarmi poiché scegliere di trascorrere un anno della propria vita in un altro continente, lontano da casa e da tutto ciò che è famigliare, è un po’ come fare un salto nel vuoto.
Prima di questo viaggio non avevo mai superato i confini europei pertanto volare oltre oceano e atterrare a sud est dell’Africa è stato emozionante e al tempo stesso impattante. Mi sono ritrovata in un altro mondo, circondata da persone che parlano un’altra lingua, con un altro odore, con un altro modo di fare. Perfino il cielo è diverso; di giorno le nuvole sembrano schiacciare la terra rossa e di notte le costellazioni sono altre rispetto a quelle che vediamo da casa. Il tempo ha un altro ritmo, le giornate sono frenetiche ma scorrono lente, le strade sono caotiche ma tutti camminano piano. “Pole pole” è così che si affronta la vita, un giorno alla volta, ogni cosa a suo tempo. Ed è così, lentamente, che ci si innamora di questa città, della sua complessità, delle sue contraddizioni, della sua cultura, delle sue origini, della sua storia e del peso che porta con sé.
Iringa è il nome della città in cui vivo da circa sei mesi. Il suo nome deriva dalla parola “lilinga” che in lingua kihehe, significa “forte”, termine che da solo basta a descrivere questa città alta e rocciosa. È in questa cornice che sto svolgendo il mio anno di Servizio Civile Universale a sostegno del programma “Caschi Bianchi per l’inclusione delle persone fragili con disabilità” promosso dall’Africa Chiama.
Scegliere questo progetto ha rappresentato per me una grande sfida perché nella mia vita sono sempre scappata dalla disabilità che mi ha sempre fatto paura. Qui, lavorando con bambini disabili e malnutriti, ogni giorno mi metto alla prova, mi sperimento, studio, apprendo, ascolto e accetto le mie emozioni. Supportare i progetti in loco mi sta dando l’opportunità di conoscere l’enorme lavoro che sta dietro a questa grande macchina d’amore che non lascia indietro nessuno e di cui oggi, anche se in piccola parte, ne faccio parte anch’io.
Questa esperienza mi sta regalando tante opportunità tra cui ad esempio imparare una nuova lingua. In questa terra sospesa e lontana dal tempo, si parla lo Swahili, una lingua bantu intrisa di storia, nata circa 15 secoli fa e usata dagli abitanti della costa orientale africana per comunicare con i mercanti di origine araba. E’ una lingua complessa e articolata poiché ha subito la contaminazione delle colonie inglesi e tedesche. Oggi è riconosciuta come lingua ufficiale e contribuisce a dare senso di appartenenza e identità agli abitanti del luogo. Approcciarsi a questa lingua è stato difficile ma oggi riuscire a comprenderla e parlarla mi fa sentire parte di questo paese, mi avvicina alla gente, mi permette di comunicare e di lavorare.
Per me il Servizio Civile Universale rappresenta una grande opportunità di crescita lavorativa ma soprattutto un’esperienza di vita e di sviluppo personale. Personalmente lo ritengo un dono poiché mi sta dando l’opportunità di conoscere un mondo nuovo e di guardare al mio con occhi diversi. Questo per me significa mettersi in gioco, affrontare le proprie ombre e le difficoltà che possono presentarsi, superare i confini geografici e i limiti della propria mente, combattere i pregiudizi e scardinare gli stereotipi, tessere nuove relazioni, vivere esperienze uniche e di vita vera difficili da raccontare poiché hanno una forte intensità emotiva che risuona ed echeggia nel profondo. È un viaggio dentro e fuori di sé da percorrere a piedi scalzi per sentire meglio, con un unico grande bagaglio: il cuore.
Quando sono partita per l’Africa non sapevo bene cosa aspettarmi ma adesso che sono qua so di aver fatto una scelta di inestimabile valore che lascerà un segno indelebile nella mia vita e nel mio cuore.
Maria Parisi, volontaria in Servizio Civile Universale a Iringa (Tanzania)
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