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maggio 2005 gianpaolo

Testimonianza da Soweto Carissimi amici di l’AFRICA CHIAMA,

la vita qui a Soweto va sempre avanti bene. Sono molto felice di aver trascorso qui 10 mesi, mi sento di aver imparato molte cose ed essere maturato come persona.

Delle volte, quando si guardano le varie realtà sempre dallo stesso punto di vista, non ci si accorge di cosa c’è oltre il proprio naso, ringrazio quindi le persone che mi sono state vicine e che mi hanno accompagnato in questo cammino di vita. Nulla del lavoro che ho fatto e ho condiviso è stato indispensabile per queste persone, ma sono sicuro che è stato molto utile e apprezzato. La cosa che mi dispiace più lasciare sono i legami che si sono instaurati in questo periodo con molti nuovi amici. Più una persona si mette in gioco, più poi sente quel dolore nel dover abbandonare la realtà che lo ha cullato. Qualcuno diceva: “Bisogna essere capaci di aprirsi a tal punto da amare le persone finchè non fa male.” E sento che almeno un po’ di questo dolore me lo porterò a casa, sapendo bene di ritornare dove lo star bene è visto come normalità e si considerano dovute molte cose che in realtà siamo molto ma molto fortunati ad avere. E quello che ferisce di più è l’essere coscienti che questi amici continueranno a vivere in questa corrosiva povertà che non concede loro nessuna sicurezza nel domani, che li lascia sempre in posizioni precarie, e gli imprevisti sono sempre dietro l’angolo.

Dai poveri non smetteremo mai di imparare, loro sono i veri nostri maestri di vita.
Qualche breve vicenda in quest’ultimo periodo mi ha fatto riflettere…

Joseph, 10 anni, 3 giorni fa è salito in cielo, colpito da malaria cerebrale. Il giorno precedente era stato in ospedale, visitato, dimesso senza diagnosi precisa, portato di nuovo in un altro dispensario di notte…dispensario chiuso (dovrebbe essere aperto 24 ore al giorno, si pensa per una mancanza di voglia del dottore e dei collaboratori di turno quella notte). Appena il primo della nostra casa si sveglia, subito chiama il taxi per mandare il bimbo d’urgenza in un ospedale, ancora. Il piccolo viene accompagnato da una vicina di casa, perchè la madre non si sa dov’è. Quest’innocente angelo muore tra le braccia della vicina di casa in un taxi sconosciuto, ma credo che ancora prima era morto per la mancanza di affetto e di attenzioni che aveva ricevuto da questo mondo che mostrava il grande disinteresse nei suoi confronti.

Mary (la chiamerò così), 15 anni, ha scoperto da circa 2 settimane di vivere in casa con degli sconosciuti. Ogni volta che qualcuno andava a visitare la “sua” famiglia chiedeva alla “madre”: “Ma questa è tua figlia? E’ così scura!” (Infatti tutti quelli della “sua” famiglia sono di pelle marrone chiaro, invece Mary è nera come il carbone) La madre affrontava sempre l’argomento con un “Mary vai a giocare fuori, che mamma deve parlare con la signora”. Gli adolescenti non sono stupidi e sono molto curiosi, così Mary sentendo che questa filastrocca si ripeteva spesso, ha trovato il coraggio di affrontare la “madre” e di chiederle di rivelarle la verità. Molto scocciata la madre le ha spiegato parte di ciò, ma aggiungendo molti particolari contrastanti. Ora Mary si spiega così il perchè gli altri fratelli ricevono molte attenzioni, e spesso sono scusati, mentre lei è sempre quella che deve fare i lavori di casa, alzandosi prima di tutti. Quello che prima faceva per amore dei fratelli, non lo sente più così, piange molte volte durante il giorno. Le hanno detto che la sua vera madre era giovane quando è rimasta in cinta, è di una famiglia ricca, ma l’ha rifiutata perchè era brutta (mi chiedo se potevano inventarsi un motivo più stupido). Ora si sente figlia di nessuno, e quotidianamente viene a chiederci consiglio o viene solo per stare con qualcuno che le dimostra un po’ più di affetto di quella che ora non considera più una famiglia. La sento come una sorella…e le voglio un gran bene, e provo anch’io parte del suo dolore e della sua profonda delusione.

Sconosciuto, 35 anni circa, passa da casa nostra per farsi medicare un dito… è stato morsicato da uno mentre si picchiavano. Dopo una settimana di dolore atroce e dopo aver visto che qualcosa nella sua mano stava cambiando troppo si è deciso di farsi vedere. Mandato al dispensario gli è stato detto che ha bisogno di amputare parte della falange del dito, ma non è possibile farlo se prima non va dalla polizia a denunciare l’accaduto (come prevede la legge qui in Kenya). Se ne va dispiaciuto, ma convinto che non può denunciare nulla per non avere ulteriori ritorsioni. Scompare.

Smith e Hunter, gemelli di poco più di un anno, la madre sparisce senza dire nulla a nessuno, nemmeno a quelli della famiglia lasciando i figlioli ad un altra famiglia che in quel momento se ne stava prendendo cura…ritorna dopo 2 settimane. I bimbi nel rivederla piangono, ma sembra un pianto di rabbia, non di gioia, forse non si sanno spiegare questa mancanza di affetto.

Di vicende così ne accadono quotidianamente qui nelle baraccopoli, ma ormai non fanno più scalpore, non riempiono le pagine dei giornali come una storiella da raccontare ad un pubblico di intellettuali…questa è realtà vissuta sulla loro pelle. Le statistiche dicono che qui in Kenya ogni 30 minuti viene rapita e violentata una donna. Ora la legge si è fatta ferrea: chi commette ciò deve ricevere come pena l’ergastolo. Anche qui si è stufi di dover sempre subire certe violenze.

Che fare allora, se si conosce una realtà che ti bombarda di delusioni, problemi e prese per i fondelli? Molti volontari che passano dalla nostra casa dicono: “Ma allora che ci sto a fare qua? Non sono venuto per essere continuamente preso in giro? Se vogliono crearsi problemi lo facciano pure, ma io non rimango ancora a sentirmi dire queste frottole e ricevere solo richieste di avere questo e quello.”

E’ vero, spesso è difficile anche per me accettare e provare lo stesso ad andare a fondo a queste vicende, ma se si cominciano a vedere le altre persone come fratelli e sorelle, tutta la nostra visione nei loro confronti cambia, e nonostante le delusioni che queste persone ci trasmettono, ci sentiamo in dovere e il desiderio di star loro vicino ugualmente, perchè sono persone e perchè abbiamo interesse di chi sono e come va la loro vita. Se non fosse così non avrebbe senso il mio e il nostro stare qui. Non sono venuto a Soweto per arginare una situazione di miseria, ma sono qui perchè ho avuto la possibilità di condividere la “stessa” loro vita e questo, prima di tutto, è servito a me. Chi dice: “Vado in Africa a fare…”, può pure tacere, si viene qui per imparare da loro, perchè a livello di valori umani conservano cose che noi, attorniati dal benessere e dall’avere, ci siamo dimenticati di possedere.

E così la mia avventura si sta per concludere fra circa 15 giorni. Sono sicuro che quando tornerò a casa avrò la fortuna di ritrovare persone che mi vogliono bene. Ho tanta voglia di riabbracciare molti amici cari.

Quindi un saluto, che presto si concretizzerà in un abbraccio reale, un in bocca al lupo a tutti.

 

Gian Paolo Chiecchi (CASCO BIANCO, VOLONTARIATO INTERNAZIONALE)

GianPaolo Chiecchi volontario Kenya lafricachiama

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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