Come molte altre persone che per i motivi più disparati si spostano tra i diversi paesi del pianeta, anche noi civiliste in Tanzania de L’Africa Chiama, arrivate ad Iringa, la città in cui ora viviamo, verso la fine di agosto, ci siamo trovate a dover imparare una lingua a noi nuova e sconosciuta: lo swahili, o, come si dice qui, Kiswahili.
Si stima che sia parlata da circa 200 milioni di persone nell’Africa centrale e meridionale ed è la lingua africana più diffusa al mondo. Il suo nome deriva dall’’arabo sawahili, plurale di sawahil che significa “costiero”, da sahel, “costa”. Ed è proprio sulle coste che, si stima, questa lingua sia nata, oltre 1000 anni fa, come lingua per gli scambi mercantili tra Africa e Asia. Si tratta di una lingua che racconta la storia e la cultura delle persone che abitano questi luoghi.
Racconta del commercio marittimo con l’Asia, della tratta degli schiavi da parte degli arabi, della colonizzazione europea, dapprima portoghese, poi tedesca e infine inglese. Di una lingua che racconta l’indipendenza e l’orgoglio nazionale della Tanzania.
La lingua swahili appartiene al gruppo delle lingue bantu, di cui presenta specialmente la grammatica e gran parte della fonetica, ma presenta anche una forte influenza araba e persiana, specialmente nel vocabolario. Dall’arabo e dal persiano vengono inoltre alcuni suoni, come alcune consonanti aspirate, molto distanti dalla tipica fonetica delle lingue bantu. Con la colonizzazione lo swahili ha anche subito l’influenza di lingue europee come l’inglese, il tedesco e il portoghese. Come la lingua swahili, anche la cultura presenta tratti bantu, arabi e persiani, europei e indiani. Tutte le popolazioni che nei secoli, più o meno pacificamente, hanno attraversato i territori in cui ora noi viviamo, hanno lasciato qualcosa, in termini di cultura e di lingua. E da questo profonda mescolanza tra popoli e culture nasce lo swahili.
Studiare questa lingua ci ha offerto, oltre che un fondamentale strumento di incontro e scambio, un’importante finestra attraverso cui approcciarci alla cultura locale, e in molti aspetti la riflette. Certe parole o modi di dire permettono si comprenderlo appieno. Ad esempio, non esiste una traduzione corrispondente al verbo “avere” inteso come “possedere”, ma il più delle volte viene reso con kuwa na, letteralmente “essere con”, come se nessuno veramente possedesse qualcosa o qualcuno, ma semplicemente fossimo insieme.
Nonostante si tratti di una lingua importante in tutta la comunità dell’est africano e riconosciuta come lingua franca in tutta l’area, in Tanzania ha ricoperto un autentico ruolo politico in quanto ha rappresentato uno dei pilastri della costruzione dell’identità nazionale, diventando lingua ufficiale del Paese. La lingua porta un importante senso di identità e appartenenza ai tanzaniani, ed è utilizzata in tutte le sfere della vita, dalla musica all’educazione, dalla politica agli affari legali, la tecnologia, gli affari, i media, la produzione cinematografica.
Sono molto felici quando vedono che, impacciatamente, cerchiamo di parlare con loro nella loro lingua e siamo molto orgogliose di poterla imparare, seppur con fatica, seppur, come dicono loro per rassicurarci, polepole, piano piano, con calma.
Camilla Bianchi, volontaria in servizio civile a Iringa – Tanzania