Articolo di Martina, volontaria in Servizio Civile Universale Italia
Vi scrivo a distanza di qualche settimana dalla conclusione della XXIII edizione della Settimana Africana Regionale, iniziativa radicata ormai da anni nel nostro territorio e ricca di appuntamenti volti alla sensibilizzazione e al coinvolgimento della cittadinanza riguardo tematiche importanti come la desertificazione, il riscaldamento globale, lo sviluppo dell’Africa ecc.
L’incontro che ha maggiormente solleticato la mia attenzione e il mio interesse è stato quello di martedì 29 settembre tenuto da Andrea de Georgio e Soumalia Diawara entrambi giornalisti, il primo come freelance e il secondo presso una rivista online “Blackpost” redatto esclusivamente da ragazzi/e immigrati. Un’accoppiata ben riuscita soprattutto perché entrambi i relatori hanno intrapreso dei percorsi così simili eppure così diversi. De Georgio, italiano emigrato in Mali e Diawara, maliano immigrato in Italia. Nonostante le motivazioni diverse che hanno spinto i due ad intraprendere il loro viaggio comune è il mezzo tramite il quale hanno deciso di raccontarlo, ovvero la scrittura.
Comune è anche l’obiettivo, ovvero di non perseguire quello che è il concetto di verità nel senso stretto del termine ma di ricercare quella che è l’autenticità nei loro racconti. Entrambi i relatori hanno chiaramente affermato che stiamo vivendo una crisi del giornalismo, che non ha più come obiettivo rispettare la realtà dei fatti ma bensì di essere i primi a raccontarli portando a una crisi di credibilità che rischia così di diventare anche un problema per la democrazia. Se un sistema democratico non è più in grado di fornire un servizio di informazione in modo professionale e obiettivo, tutto diventa opinabile e vista l’era social in cui siamo immersi questo rappresenta un grande rischio. È chiaro a tutti quanto molte persone facciano fatica a compiere scelte razionali e a riconoscere il “vero” dal “falso” come abbiamo appurato dall’incremento del fenomeno delle fake news. Una notizia falsa ha una diffusione 7 volte maggiore rispetto ad una notizia vera.
Questo dato credo che faccia trasparire quella che è l’entità del danno che una semplice bufala può generare.In Italia i telegiornali si confermano la principale fonte di informazione, seguita però da Facebook che invece è al secondo posto. Proprio a causa dell’impatto che Facebook e le notizie che vi girano all’interno hanno sulla vita “reale” sono state tante le accuse mosse ad esempio a Mark Zuckerberg.
Gli utenti online tendono a selezionare e quindi leggere solo le informazioni che aderiscono al loro sistema di credenze, il tutto ampliato dall’algoritmo del social network che anch’esso segue questa logica. Il punto forte della piattaforma è che la profilazione dell’utente è molto dettagliata e grazie a questo riescono a tenerci più incollati allo schermo possibile. Essendo il mio corso di studi improntato sui social media mi occupo spesso di controllare ed analizzare quello che avviene sulle varie piattaforme (Facebook, Instagram, Twitter ecc) e di informarmi sulle varie notizie del settore. Qualche giorno fa grazie ad un consiglio di un mio professore ho guardato il documentario prodotto da Netflix “The Social Dilemma”.
Documentario molto chiacchierato durante il quale Facebook viene esplicitamente accusato di lavorare attivamente per tenere gli occhi degli utenti sempre incollati allo schermo, affermando che “if you’re not paying the product, then you are the product”, ovvero che non pagando per l’utilizzo di quello che è il prodotto, di conseguenza il prodotto siamo noi e più nello specifico i nostri dati, i quali vengono utilizzati per essere “venduti” a chi davvero si cela dietro la piattaforma,ovvero gli inserzionisti i quali pagano per la nostra attenzione. Non solo, la società di Zuckerberg è stata aspramente criticata per non aver trovato una strategia contro le notizie false e l’incitamento all’odio ed è stata addirittura accusata di aver “compromesso” le elezioni in America. Il fondatore ha ammesso le sue debolezze e sostiene di aver ora oltre 70 partner coinvolti nel fact-checking e di aver già rimosso 22 milioni di contenuti di hate speech.
Proprio in questo contesto si parla di polarizzazione, fenomeno che coinvolge sia il giornalismo odierno che i social media. In senso sociologico per polarizzazione si intende la concentrazione di valori ed idee opposti in seno alla società, dunque la tendenza della popolazione a schierarsi per uno dei due poli. In questo contesto, il populismo a sostegno delle estremità degli schieramenti favorisce ed alimenta la polarizzazione delle società. Credo che questo lasci spazio a una grande riflessione soprattutto ora che conoscete il potenziale d’azione del social e che sappiamo che nonostante sia “solo” una piattaforma che ripercussioni ha sulla vita reale.
Nel maggio del 2018 Zuckerberg era stato chiamato a rispondere alle domande del parlamento europeo proprio a seguito delle considerazioni fatte in precedenza. Ho visionato l’intero intervento e vi ripropongo le due domande che gli sono state fatte e che a me hanno fatto molto riflettere. La prima più che una domanda era un’affermazione nella quale veniva esplicitamente detto che fosse arrivato il momento di dividere il monopolio di Facebook in quanto iniziava a rappresentare un potere troppo forte per essere nelle mani di un solo uomo. La seconda invece suona quasi come una condanna in quanto viene chiesto al giovane miliardario se pensa che nella storia verrà ricordato al fianco di grandi nomi come quelli di Steve Jobs e Bill Gates fra i magnati della tecnologia moderna o come il creatore di un mostro digitale. Vi riporto queste informazioni perché credo che sia necessario un ritorno all’autenticità nel giornalismo ed anche su tutte quelle realtà virtuali e non che si fanno promotori delle informazioni.
Un ritorno alla professionalità e quindi anche credibilità di chi ha l’obbligo morale di raccontare i fatti, per rispetto di quello che dovrebbero il “sano giornalismo”.
Martina Kansengo, volontaria in servizio civile universale in Italia
Video dell’incontro“Raccontiamo il sud del mondo”, intervista di Francesca Giommi ad Andrea de Georgio, giornalista di Internazionale e Soumaila Diawara, giornalista maliano e rappresentante della rivista on line BlackPost.
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