Il sistema scolastico qui in Kenya è diviso in due parti, scuola primaria e scuola secondaria, che hanno rispettivamente otto classi per la primaria e quattro classi per la secondaria e che le loro vacanze sono divise in tre periodi diversi dell’anno, rispettivamente Aprile, Agosto, Dicembre.
Per chiarirci, la primaria qua è come se unissero i nostri cinque anni di elementari e i tre delle medie, mentre la secondaria è come se fossero le nostre superiori eliminando l’ultimo anno.
In questo mese di aprile le scuole erano chiuse e tutti i ragazzi passati dal progetto per i ragazzi di strada che in questi anni sono stati inseriti nelle scuole con cui L’Africa Chiama è in contatto sono tornati al centro, come ogni volta durante un periodo di vacanze.
La cosa all’inizio mi ha un po’ disorientato, in quanto mi ero abituato nelle tre settimane da cui ero qua ai ragazzi che frequentano ora il centro, avevo iniziato a conoscerli un po’ meglio e se non altro avevo imparato i loro nomi. Invece i primi giorni di aprile sono stati di nuovo un susseguirsi di facce nuove, di presentazioni e di nomi non capiti e subito dimenticati, un po’ come rivivere esattamente il mio arrivo e tutto lo spaesamento che aveva comportato.
Avevo giusto fatto in tempo a superare lo spaesamento ed entrare un po’ di più in relazione con i ragazzi delle scuole, che è arrivato l’ultimo giorno delle vacanze.
L’ultimo giorno delle vacanze qua al centro è stato un giorno molto pieno, poiché per la maggior parte dello staff si fa carico delle spese del trasporto e dell’acquisto di oggetti per l’igiene, necessari per essere riammessi a scuola e l’ultimo giorno utile è il giorno nel quale viene consegnato tutto a tutti.
Tra un sapone e un lucidascarpe ho iniziato a chiedere, inizialmente un po’ per gioco, se erano contenti di tornare a scuola e se avessero fatto tutti i compiti, ricordandomi di come fosse stato sempre traumatico il mio rientro a scuola dopo le vacanze. All’inizio mi sono stupito, tutti i ragazzi mi dicevano di essere contenti e di aver fatto tutti i compiti, anzi, sembrava quasi che il tono di voce con cui ponevo le domande li stranisse. Dopo di un po’, nel vedere che le risposte rimanevano sempre le stesse, ho iniziato a chiedermi il perché.
Che fosse la mia posizione di italiano o di “adulto” a farli sentire in soggezione e si sentissero obbligati a rispondermi così? È possibile, ma personalmente non credo, penso me ne sarei accorto.
Penso piuttosto che i ragazzi qua del centro, la maggior parte se non altro, vedano la scuola come una opportunità di riscatto, come la loro opportunità di riscatto dalla situazione in cui vivevano, che li aveva portati tutti a vivere per strada.
Credo che la scuola sia per loro strumento di emancipazione dalla situazione di povertà sia culturale che economica nel quale vivono, ciò che in questo momento da senso alla loro vita.
Francesco Carroli, volontario in Africa (servizio civile nello slum di Soweto in Kenya)